Non profit

Anche la filantropia ha bisogno di manager

Maria Serena Porcari: darsi obiettivi precisi, fare business plan e piani di crescita con cui attrarre i finanziatori. Insomma: portare la logica della sfida nella raccolta fondi

di Chiara Sirna

Una carriera da enfant prodige nel profit, con incarichi in aziende come Innovest spa, Bayrische Vereinsbank AG di Monaco e Iss Darenas A/S di Copenhagen, per seguire progetti di venture capital. È stata client executive della direzione commerciale del gruppo Fiat e responsabile per i servizi di customer relationship management di Ibm Bcs per il settore Automotive. Nel 2005 è diventata responsabile del Centre for Ibm e-business Innovation di Milano. Un anno fa, a 34 anni, Maria Serena Porcari ha voltato pagina, gettandosi a capofitto nel progetto della Fondazione Dynamo, la prima fondazione di venture philantropy del nostro Paese.«Sono uscita da Ibm con già l?idea di una fondazione di stampo corporate», spiega, «che potesse portare nel non profit le competenze del profit, dalla finanza alla comunicazione, alle consulenze». I principi del venture capital applicati al non profit, in altre parole. E così, mettendo a frutto le proprie capacità manageriali e relazionali, ha sviluppato un?attività di raccolta fondi da far invidia a un fund raiser uscito da un master specifico. «Io in realtà su questo ho un po? improvvisato, basta dire che sto ancora studiando le tecniche e la materia, non sono nata come fundraiser», riconosce. Il suo motto? «Rapportarsi al donatore come fosse il nostro miglior cliente». Non c?è frase o ragionamento da cui non emerga il suo substrato prima formativo, da Mba, poi professionale. Snocciola buone prassi e business plan quasi da manuale.

Oggi è consigliere delegato della fondazione e si occupa, tra gli altri, di uno dei progetti messi in campo, Dynamo Camp, destinato a bambini affetti da gravi patologie oncologiche, in linea con gli Hole in the Wall Camps creati dalla Fondazione Paul Newman in tutto il mondo. «Ho studiato il progetto nei dettagli, stimando non solo i fondi necessari per i primi tre anni», spie ga, «ma anche quelli per la sostenibilità e piena operatività». Soglia da raggiungere per i primi tre anni: 5 milioni di euro; fondi già raccolti, ad oggi, 3,5 milioni di euro – dunque più della metà – per i quali oggi si contano tre funding partner d?eccezione: la Fondazione Dynamo, l?associazione Hole in the Wall e Telecom Progetto Italia.

«Se i grandi enti erogatori iniziassero a ragionare con logiche di challenge, allora sì che si avrebbero maggiori risultati». La sfida è infatti un?idea che ancora deve farsi strada nella cultura della donazione italiana, secondo Maria Serena Porcari. Cioè deve farsi ancora strada la capacità di attrarre i finanziatori con progetti di business, obiettivi di sviluppo e crescita garantiti, ragionare quindi con il loro stesso linguaggio, adottandone le strategie.

«Bisogna saper ragionare su tre livelli: da un lato l?organizzazione, dall?altro la governance, che dev?essere necessariamente estesa e partecipata», aggiunge, «e infine il piano della raccolta fondi, ma solo su obiettivi precisi».«Il challenge grant in America sta trionfando: si eroga nel momento in cui si raggiungono gli obiettivi», commenta. Qualche esempio illuminante in Italia? «La Fondazione Cariplo su tutti, ma anche la Bocconi sta muovendo ottimi passi».

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.