Non profit

Cari ex alunni, mano al portafoglio

L'università a caccia di finanziamenti. L'esempio americano fa scuola anche in Italia. Gli atenei puntano ai manager formatisi sui loro banchi e alle aziende in cui lavorano

di Chiara Sirna

Negli Stati Uniti sono gli ex alunni e le loro aziende a far confluire fiumi di denaro nelle casse degli atenei. In Italia si sta iniziando soltanto ora a battere strade analoghe: «È il prezzo da pagare per produrre eccellenza e internazionalizzarsi », spiega Giovanni Pavese, consigliere della Bocconi, che tra tutte le università italiane è quella ad essersi posta l?obiettivo più ambizioso: 10 milioni di euro l?anno, 100 milioni in 10 anni. Ma contando che da aprile sono già stati incassati 8 milioni di euro, non c?è da temere che le buone intenzioni restino solo su carta. Anche perché nulla è stato lasciato al caso: il consiglio direttivo ha elaborato un piano strategico ad hoc, a portare fondi invece ci pensano i patron dell?economia e le relazioni che la Bocconi ha intessuto negli anni. Finanziatori selezionati, insomma: neanche a dirlo, imprese. «Loro guadagnano in visibilità e collaborano a formare la futura classe dirigenziale », aggiunge Pavese, «noi affiniamo le nostre capacità di competizione ». L?obiettivo è accaparrarsi sul mercato internazionale i docenti migliori e attrarre studenti da ogni parte del mondo. «Dalla sede polacca di Unicredit ogni anno 50 persone chiedono di entrare in Bocconi», conclude Pavese con un esempio, «se invece di 15 ne prendessimo di più, ecco che arriverebbero altri finanziamenti e con quelli la cattedra di uno dei migliori docenti di strategia internazionale».

Di stampo diverso la Fondazione Politecnico, nata in seno all?omonimo ateneo meneghino, dove si procede andando a caccia di fondi per la ricerca su bandi pubblici, tramite ?attività istituzionali?, così le definisce il direttore, Graziano Dragoni. Solo in minima parte si fa raccolta fondi diretta sulle imprese, «che poi sono le stesse che direttamente o indirettamente partecipano alla fondazione». Ammontano a 200 le iniziative finanziate finora tra dottorati e progetti di ricerca, incubatori, stage e spin off, per un valore di 100 milioni di euro. Meno di 200mila euro invece le ?elargizioni? raccolte da aziende. La tradizione americana inizia ad essere cavalcata anche da altri atenei nostrani. L?università Luiss di Roma è pronta per il suo primo grande raduno di ex studenti e laureati dal 1967 ad oggi: la Reunion dell?1 e 2 dicembre, che si propone di raccogliere tutti i manager sfornati dalla Luiss. «L?intenzione», spiega Alessandro Petti, direttore della comunicazione, «è di avviare anche attività di fund raising, ma solo dietro progetti». Nello stesso solco si sta muovendo anche la Iulm di Milano, che a fine settembre ha inaugurato la propria associazione di ex alunni, Aliulm. Ma anche il pubblico sta facendo la sua parte. L?università di Siena ha creato un settore ad hoc, che da solo, in 5 anni di attività, ha raccolto 2 milioni e mezzo di euro. «Stiamo creando Ignosi», spiega il responsabile, Pasquale Colella, «un?associazione di ex alunni che oltre a fare rete finanzi l?ateneo». Anche la Fondazione Alma Mater dell?università di Bologna, in seguito a uno studio di fattibilità realizzato dalla Fund Raising School guidata da Pierluigi Sacco e Alberto Masacci, attiverà un canale di raccolta fondi. Anche in questo caso su un doppio binario: imprese ed ex studenti. «Insisteremo maggiormente sulle relazioni economiche e istituzionali intessute negli anni», spiega Giuseppe Cappiello, consigliere della Fondazione Alma Mater. In corsa sullo stesso fronte anche l?Angelicum di Roma (privato), che ha incaricato una fundraiser di professione, Francesca Zagni.

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