Formazione

Tra cielo e terra sulle tracce di Pamuk

Il Nobel 2006/ Lo scrittore raccontato da una connazionale, di Asly Kayabal

di Redazione

Nella motivazione dell?assegnazione del Nobel per la letteratura a Orhan Pamuk si legge che «nella sua ricerca dell?anima melanconica ha scoperto nuovi simboli per il contrasto e l?intreccio delle culture». Il riconoscimento al più grande scrittore turco vivente (assieme a Yashar Kemal) non ha tuttavia suscitato quei sentimenti di gioia e di compiacimento che abitualmente si riverberano dall?autore al suo popolo e alla sua nazione. Nessun tripudio ha scosso le piazze di Istanbul o di Ankara, molto più attente alle risoluzioni del parlamento francese sul genocidio armeno. Il commento del Palazzo si è limitato a una nota molto formale di un anonimo sottosegretario alla Cultura. A parte qualche organo di stampa, la gente comune ha colto nel Nobel, il primo in assoluto per la Turchia, non tanto il segno di una qualità letteraria unanimamente riconosciuta, quanto i possibili riflessi politici in relazione alle coraggiose prese di posizione di Orhan Pamuk sulla questione curda e sul genocidio armeno. Il nero e il rosso Pamuk è uno scrittore prossimo ai 55 anni e i suoi libri mi accompagnano sin dagli anni 80 quando, giovane universitaria alla facoltà di Lettere di Istanbul, ho cominciato a leggerli, iniziando con La casa del silenzio e Il libro nero fino alla folgorazione di Il mio nome è rosso, il suo libro più originale e affascinante, e ai più recenti La nevee Istanbul. Non è facile definire la complessità poetica di Orhan Pamuk. Nella maggior parte dei suoi libri è possibile seguire il ritratto di una Turchia che pendola continuamente tra Oriente e Occidente, espressione di una cultura e di un?identità perennemente oscillante tra i due poli. E in mezzo Istanbul, la sua amatissima città, così vicina all?Europa e contemporaneamente così lontana da essa. Il suo romanzo più conosciuto in Occidente, Il mio nome è rosso, è un giallo che si svolge nel XVI secolo all?interno del Palazzo ottomano tra miniaturisti, calligrafi, visir, morti, mendicanti, ruffiane. Sullo sfondo l?Istanbul dell?epoca, che tutto pervade come una nebbiolina sottile e due capolavori dell?antica letteratura persiana: Il libro dei re di Firdousi e Il Quintetto di Nezami. E ancora l?altro Libro dei re di Shah Tahmasp, composto nel sedicesimo secolo dai miniatori della scuola di Herat e della scuola di Tabriz, che avevano unificato i loro stili. La parola e la miniatura sono equivalenti: la parola si arricchisce di sfumature cromatiche e la miniatura racchiude in sé le parole. Tutt?intorno il rosso, il colore di Allah, l?inchiostro, il sangue, il matrimonio, la morte e tanto altro. Quel dialogo In occasione del premio Impac, attribuitogli il 14 giugno 2003 a Dublino, avevo intervistato Orhan Pamuk per Vita e a una domanda sulla democrazia in relazione alla possibile adesione della Turchia alla Comunità europea aveva detto: «personalmente sono vicino alla cultura occidentale, perché credo fermamente nei valori della modernità e dell?uguaglianza che si coniugano con il rispetto dei diritti umani, con la libertà di pensiero, con i principi di democrazia che nell?Occidente si sono compitamente realizzati». Non penso che le sue idee siano cambiate e quindi sarà ancora convinto che la Turchia è sempre un Paese sospeso tra cielo e terra. Come aveva detto in quell?occasione, «da una parte il richiamo dell?Occidente con il fascino della cultura europea, dall?altra l?attrazione dell?Oriente che potrebbe fomentare regressioni autoritarie». Da una settimana la Turchia è ancora più divisa. Tutto questo non è comprensibile e probabilmente è destinato a illanguidire, come il tratto di Istanbul così caro a Pamuk e alla fine rimarrà solo il riconoscimento a una delle voci letterarie più incisive della contemporaneità.


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