Mondo

Quante bugie sulla Cecenia. Ma Bin Laden non abita a Grozny

Una popolazione dignitosa, decimata da due eserciti di banditi e di invasati. E Se l’informazione iniziasse a render giustizia alla piccola repubblica?

di Carlo Gubitosa

Per chi, come me, ha camminato nelle strade devastate di Grozny, è surreale e bruciante al tempo stesso l?abisso che separa la rappresentazione mediatica della guerra cecena dalle esperienze vissute a contatto con la realtà. In Cecenia non ho incontrato donne col velo o gruppi di fondamentalisti invasati, ma una popolazione civile dignitosa e decimata, vittima di un patto scellerato che unisce la violenza delle bande armate (che usano strumentalmente la voglia di libertà di un popolo) alla violenza militare (tutta europea, occidentale e, per quanto riguarda la fornitura di armi, anche italiana) di un esercito che ?combatte il terrorismo? creando fosse comuni, dove seppellire donne e ragazzi bendati e imbavagliati. L?esistenza di queste fosse comuni, a pochi metri di distanza dalle basi militari russe in Cecenia, è stata documentata con dovizia di particolari da Human Rights Watch e dall?organizzazione russa Memorial in un rapporto del maggio 2001, e l?Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva pubblicato già nell?aprile 2000 un rapporto in cui venivano descritti i cosiddetti ?campi di filtraggio?, veri e propri lager moderni, e le bombe sganciate dall?esercito russo sulle colonne di profughi in fuga dalla Cecenia. Due eserciti di banditi «Quando due elefanti combattono, chi soffre è l?erba», dice un proverbio africano. L?elefante bellico dell?esercito russo e l?elefante criminale delle organizzazioni terroristiche stanno schiacciando l?erba della popolazione civile. Migliaia di soldati russi sono morti per combattere una guerra che non avevano scelto, e altre migliaia sono tornati dalla Cecenia con pesanti mutilazioni, senza nessun tipo di riconoscimento o di assistenza da parte di un governo che li ha mandati al massacro. Centinaia di migliaia di profughi ceceni vivono ancora nelle baracche e nei capannoni che ormai diventeranno l?unico mondo conosciuto da una nuova generazione di bambini. Tutto questo non ha niente a che vedere con la lotta al terrorismo o con una guerra di liberazione. La partita che si sta giocando in Cecenia è un?altra: uno spietato scontro tra un esercito regolare di banditi e criminali che mandano a morire i propri figli e un esercito irregolare di criminali e banditi che nascondono i loro interessi e i loro traffici dietro la sofferenza di un popolo. C?è una sola differenza tra questi due gruppi di aggressori: uno è composto da gente colta, che siede ai vertici del governo del mondo, vive nel benessere e ha il sostegno di tutto il mondo occidentale, l?altro è composto da persone che affondano le loro radici in una realtà di miserie umane dove noi potremmo essere i primi a diventare dei banditi solo per garantirci una bottiglia di vodka, la pancia piena e una pistola in tasca per sentirci più sicuri. Parli la diplomazia L?altra faccia del terrorismo e del banditismo ceceno è un popolo con le spalle al muro, al quale la ?civiltà occidentale dei diritti umani? non sa, o non vuole, dare una risposta. Fino a quando centinaia di migliaia di profughi saranno per noi una realtà tutto sommato trascurabile, meno importante dei gruppi militari o dei vip che riempiono le pagine dei nostri giornali, questa spirale di violenza è destinata a non interrompersi. Fino a quando si parlerà della Cecenia solo per descrivere le decisioni dei potenti o gli atti suicidi delle bande armate, avremo riconosciuto implicitamente la nostra sconfitta di fronte al potere degli eserciti e al potere della violenza. Chi descrive la guerra preventiva come l?ultima risorsa della diplomazia internazionale si rifiuta di concepire il terrorismo che nasce come ultima risorsa della disperazione. Alla guerra delle persone istruite e con la pancia piena si riconosce una maggiore dignità delle microguerre casarecce fatte dalle persone tenute ai margini della vita e della giustizia. è tempo di dire basta con la violenza, quella di Stato e quella individuale, quella mediatica e quella politica, quella fisica e quella economica. è arrivato il momento di dare alla diplomazia internazionale strumenti diversi dalle guerre sante invocate come una benedizione dai petrolieri e dai mercanti di armi, e al tempo stesso è arrivato il momento di dare ai popoli disperati delle risposte diverse da quelle che fanno comodo alle bande armate. Se falliremo in questo necessario sussulto di civiltà, la posta in gioco non è solamente il futuro della Cecenia, ma anche il nostro destino e la nostra sicurezza. I giorni che ho passato nella Cecenia bellissima e insanguinata mi hanno trasmesso una amara consapevolezza: il terrorismo, la guerra e la tragedia di quel popolo decimato dipendono anche dalla mia indifferenza.


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