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Latino

La parola/ Il Papa lo vuole togliere dal ghetto in cui negli ultimi decenni è stato relegato.

di Alter Ego

Il Papa ha ventilato una decisione saggia: meno restrizioni per i fedeli che vogliono seguire la messa in latino. Negli ultimi decenni questi cattolici, rimasti legati alla lingua preconciliare, sono stati ingiustamente ghettizzati e ostracizzati, ma oggi potranno rimettere fuori la testa. La questione non riguarda solo loro, bensì il ruolo del latino. Nel suo blog geniale Giacomo Contri scrive senza peli sulla lingua: «In materia di spreco e demenza, alcuni decenni fa noi cristiani abbiamo buttato via una lingua, il latino (Concilio Ecumenico Vaticano II). Ciò che dico non ha nulla in comune con Lefèbvre. Osservo solo che chiunque concorderebbe che una lingua è un bene immenso, certo non da meno di soldi – non ci sono miliardi di dollari che reggano il paragone – e potere, e che col tempo fa i primi e il secondo. Meglio sarebbe stato se il Papa avesse ordinato a tutte le parrocchie, sotto minaccia di scomunica, di insegnare la lingua latina ai fedeli. Buttare una lingua è un peccato di gravità inaudita».
Questo scrive Contri, e noi siamo con lui. Buttare una lingua, e per di più una lingua che è madre di tante lingue come il latino, è un delitto. Ma che senso ha invece recuperarla? Il latino è stato buttato per una motivazione psicologica che oggi sappiamo essere del tutto infondata: che alla gente sarebbe piaciuto sentirsi parlare nella lingua di tutti i giorni. Ma poi quella lingua di tutti i giorni ha via via sbracato, è diventata un ricettacolo di luoghi comuni, è stato il pretesto per dire qualunque cosa. Tornare al latino non si può. Ridargli spazio invece è molto sensato. Viva il latino, lingua globale e non globalizzante.

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