Politica

L’impresa sociale punta al testo unico

Legge 155: proposte per migliorare a Riva del Garda. Al Workshop di Issan la promessa del sottosegretario De Luca: "Ci lavoreremo insieme"

di Gianfranco Pooli

«Un errore ragionare sull?impresa sociale come semplice conseguenza a ciò che già è stato fatto. Bisogna sentirne l?elemento di sfida: così si rilancia l?input ad un discorso strategico sul welfare. Occorre definire un disegno di terzo settore ben chiaro da proporre». Costanza Fanelli, presidente Legacoopsociali, esprime bene il leitmotiv del workshop Impresa Sociale Anno Zero promosso da Issan – Istituto studi sviluppo aziende non profit dell?Università di Trento e da Iris network, l?associazione italiana degli istituti di ricerca sull?impresa sociale. L?appuntamento, giunto alla sua quarta edizione e patrocinato dal direttore di Issan, Carlo Borzaga, ha potuto contare sulla partecipazione di rappresentanti dei ministeri dell?Economia e delle Finanze, dello Sviluppo economico e della Solidarietà sociale – all?appello anche il sottosegretario Cristina De Luca – e i presidenti delle organizzazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo; con gli interventi, oltre alla già citata Costanza Fanelli, di Umberto Dal Maso (presidente Volontari nel mondo – Focsiv), Johnny Dotti (presidente Cgm), Paolo Beni (presidente nazionale Arci), Vilma Mazzocco (presidente Federsolidarietà/ Confcooperative), Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita. Con l?approvazione del decreto legislativo n. 155/ 2006 si è concluso il percorso di riconoscimento giuridico dell?impresa sociale. Solo l?inizio, precisa Borzaga, di un percorso non breve, considerata «la complessità della materia, la novità dell?idea che si possano gestire imprenditorialmente attività di interesse collettivo e la scarsa esperienza delle istituzioni italiane» in direzione della completa definizione del nuovo istituto e all?individuazione di efficaci politiche di sostegno. Ma si badi bene: «Le politiche fiscali non sono le uniche importanti», sottolinea Borzaga, «anzi rischiano di far dimenticare che il vero vantaggio dell?impresa sociale è intrinseco e deriva in primis dalla sua forma proprietaria organizzativa». Parlare di questa legge significa, di conseguenza, interrogarsi sul ruolo che il terzo settore vuole giocare per una modernizzazione del welfare. Laddove il decreto legislativo 155 lascia molti problemi aperti, quali l?associazionismo che nel testo viene vincolato rispetto alla produzione di beni e servizi. Chiamato in causa, Paolo Beni centra il punto: «Andiamo verso la necessità di un riordino complessivo della materia, un abbozzo di testo unico del terzo settore». Un terzo settore che abbia il coraggio di avanzare programmi di mediazione economico-culturale in accompagnamento alle imprese assolve a uno dei fondamenti dell?impresa sociale che questo decreto non sembra ricevere e con cui, nell?ottica del domani, si troverà fare i conti. «Purtroppo», osserva Dotti, «il bene pubblico è considerato ancora secondo una logica statale o municipale». «Il decreto sull?impresa sociale», conferma Cristina De Luca, «colma un vuoto per ora in maniera imperfetta». E assicura: «Impegni precisi sono definire la figura dell?imprenditore sociale, i criteri di meritevolezza delle impresa sociale, i settori di intervento e confrontarsi con l?Europa. E lavorare per l?ipotesi di costruzione di un testo unico di legge per inquadrare il non profit senza incongruenze».

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