Cultura

La mia campanella contro l’intolleranza

Il caso della scuola araba dal punto di vista della direttrice. «Non fanno altro che attaccarci, ma nessuno conosce il nostro piano didattico».

di Chiara Sirna

«Partire con le lezioni era l?unica cosa da fare». Non sono bastati né lo stop delle attività chiesto dal ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero e dell?Istruzione, Giuseppe Fioroni, né la manifestazione di protesta di un manipolo di leghisti a far recedere dal suo intento Lidia Acerboni, direttrice della scuola araba di via Ventura a Milano, nel cuore del quartiere di Lambrate. Non sente ragioni, è esausta. «Ci lasciassero lavorare», sbotta, «passiamo il tempo a giustificarci e dare conto di quel che decidiamo, non se ne può più. Se almeno qualcuno di quelli che sollevano polemiche fosse informato sul progetto didattico… invece non ne sanno niente». Vita: Andiamo con ordine, la documentazione l?avete consegnata meno di due settimane fa, in ritardo. Perché vi aspettavate subito il via libera? Lidia Acerboni: Abbiamo consegnato tutta la documentazione richiesta, sia al Comune che alla direzione scolastica. Il Comune ha già fatto otto sopralluoghi e ogni volta assicura di trasmetterci un parere, poi tutto tace. Il 4 ottobre la stessa direzione scolastica ci ha scritto che la documentazione era corretta, ma non ci ha ancora autorizzato a partire. La legge ci consente di farlo e lo abbiamo fatto. Vita: Anche senza avere il via libera dalle istituzioni? Acerboni: Il regolamento del 94 sulle scuole straniere dice chiaramente che si può fare denuncia di inizio attività se si è in grado di attestare la presenza di tutti i requisiti di legge. Se nessuno si esprime, c?è il silenzio assenso. Vita: Ma manca ancora la valutazione sul programma didattico… Acerboni: Il direttore generale Dutto a giugno ci chiese modifiche al programma per fare in modo che la scuola, così com?era stata pensata, bilingue, fosse a norma di legge. Aveva ragione e chiedemmo l?aiuto del consolato egiziano. Ma poi le uniche obiezioni sono state fatte sul fronte della certificazione della sede. Se tutto è in regola perché non possiamo partire? Vita: Gli iscritti sono gli stessi di via Quaranta? Acerboni: No, non c?entriamo niente con quell?esperienza, il progetto è diverso e l?utenza anche. Molti bambini arrivano dalla scuola italiana, sono figli di coppie miste, in cui il padre arabo desidera che i figli imparino anche la sua lingua. Vita: Cos?ha di diverso il piano didattico? Acerboni: Intanto il progetto nasce da un anno di lavoro di una commissione che ha messo a confronto i programmi egiziani e quelli italiani. A parte l?insegnamento delle due lingue, le altre materie sono uguali. Solo un po? modificate. Vita: In che modo? Acerboni: Storia e geografia per esempio includeranno anche approfondimenti sull?Egitto e l?area africana. Ma il resto non cambia. Si è trattato solo di capire come veicolare l?insegnamento nelle due lingue. Ogni materia sarà insegnata in italiano e arabo. Vita: C?è chi dice che con i soldi che avete non potrete pagare insegnanti qualificati e abilitati. Acerboni: Questa è un?idiozia. Quelli italiani sono tutti insegnanti di ruolo in pensione. Vita: E quelli egiziani? Acerboni: È il consolato a controllare i requisiti professionali. Abbiamo pochi soldi è vero, infatti saranno pagati di meno, ma c?è anche chi lo fa perché crede nel progetto e soprattutto siamo circondati da tanta solidarietà. Vita: Finora le spese sono state tutte a carico dell?associazione Insieme. Ma questo non mette a rischio la continuità della scuola? Acerboni: No, ci saremo fino a quando ce ne sarà bisogno. Siamo sostenuti da molta solidarietà.

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