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Somalia: motivi politici dietro l’omicidio della suora italiana?

Nei giorni dell'uccisione l'Onu stava decidendo di riaprire degli uffici a Mogadiscio, il giorno dopo c'è stato l'attentato al presidente. Parla l'ambasciatore Raffelli.

di Emanuela Citterio

È stato il fanatismo religioso ad armare il fucile che ha ucciso suor Leonella Sgorbati, la missionaria italiana assassinata il 17 settembre a Mogadiscio? Sono state le parole del Papa sull?Islam? Chi conosce lo stato attuale della Somalia – un governo appena nato dopo 15 anni di anarchia istituzionale, già assediato da un nuovo potere, quello delle corti islamiche, che si è impadronito di Mogadiscio e si sta espandendo rapidamente – solleva qualche dubbio. Suor Leonella Sgorbati, 65 anni, al secolo Rosa, originaria del piacentino, era l?unica delle missionarie della consolata di Mogadiscio (cinque, le uniche religiose presenti in Somalia) a lavorare di domenica. Il suo giorno di riposo era il venerdì, come quello dei suoi studenti musulmani. Domenica 17 settembre si era alzata presto come al solito, per preparare la lezione del corso infermieri nell?unico ospedale funzionante nella capitale della Somalia, quello gestito dall?organizzazione Sos Villaggi dei bambini. A mezzogiorno, a lezione finita, stava tornando a casa per il pranzo quando due uomini sono sbucati all?improvviso aprendole il fuoco contro. Nelle cronache dei giorni successivi non è mai comparso il nome della persona uccisa con lei: Moahmed Mahamodu, musulmano, somalo, padre di quattro figli che lavorava come guardia del corpo, che si è messo fra gli autori dell?agguato e la suora italiana in un estremo tentativo di protezione. A ricordarlo, durante il funerale di suor Leonella, sono state le altre suore di Mogadiscio: Marzia, Annalisa, Maria Bernarda e Gianna Irene, evacuate dopo l?accaduto a Nairobi, in Kenya, dove ancora si trovano. «Negli stessi giorni dell?assassinio di suor Leonella, l?Onu stava decidendo di riaprire degli uffici a Mogadiscio» fa sapere l?onorevole Mario Raffaelli, «dopo l?accaduto non se n?è più fatto niente». E il giorno dopo, il 18 settembre, a Baidoa, due esplosioni hanno attentato alla vita del presidente del governo somalo Abdullahi Yusuf. «Che si ci sia una mente unica dietro i due attentati e un legame operativo è difficile da dire» afferma Raffaelli, «di sicuro però l?effetto politico è stato lo stesso, vale a dire rendere molto più complicato il dialogo fra il governo nato tra molte difficoltà un anno e mezzo fa e le corti islamiche che controllano Mogadiscio. Far salire la tensione, creare un?escalation di violenza è l?obiettivo di chi vuole destabilizzare la Somalia». Proprio il giorno dell?attentato al presidente, il parlamento di Baidoa stava discutendo la fiducia al governo. Un momento delicato, nel contesto di una situazione già delicata e tesa: il governo ?ufficiale? della Somalia, riconosciuto dalla comunità internazionale, non ha in realtà il controllo del territorio. E le corti islamiche che si sono impossessate di Mogadiscio hanno invece allargando la loro influenza e conquistato Kisimayo, terza città del paese e strategico porto del sud. La motivazione politica dell?attentato a suor Leonella è plausibile anche per monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, che però sottolinea: «le suore di Mogadiscio hanno sempre lavorato in questi anni in un ambiente pericoloso, spesso ostile, l?uccisione di suor Leonella conferma innanzitutto quanto sia difficile lavorare in un clima così». A parlare della difficoltà del suo lavoro in Somalia è stata la stessa missionaria italiana, nell?intervista inedita in edicola con il prossimo numero di Vita e pervenuta alla redazione di Vita tramite l?associazione Sos Villaggi dei bambini. Un?intervista da cui emerge però anche l?amore per i ?fratelli musulmani? fra cui suor Leonella viveva, musulmani come la guardia del corpo Mohamed, che ha sacrificato la sua vita per una cristiana, come i somali che hanno affollato il cortile dell?ospedale di Mogadiscio alla sua morte.


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