Famiglia

Chi sono i bambini di Minsk

Ogni anno ne arrivano in Italia oltre 25mila, per soggiorni terapeutici. Solo in pochi casi si trasformano in richieste di adozioni. Eppure il caso di Maria ha fatto riesplodere le polemiche

di Sara De Carli

Nessuno scandalo. Anche se i numeri precisi nessuno li sa, nemmeno la Cai. I soggiorni dei bambini di Chernobyl che si sono trasformati in una richiesta di adozione potrebbero essere 200 secondo il giudice Melita Cavallo, ex presidente della Cai, 300 secondo il giudice Luigi Fadiga, in ogni caso sono meno di 550, il numero totale delle domande di adozione in essere per un bambino originario della Bielorussia. Sui 25-28mila bambini che ogni anno arrivano in Italia dalla Bielorussia per soggiorni terapeutici, non sono tantissimi. Per i genitori questo è il segno della loro buonafede e della legittimità della richiesta di una sorta di sanatoria, per gli operatori è già una spia di allarme. Non che un soggiorno ripetuto presso la stessa famiglia sia di per sé un male, né il fatto che ciò sbocchi in un?adozione: però non al prezzo di creare nei bambini aspettative sul cui buon esito nessuno oggi oserebbe pronunciarsi. Non al prezzo di far vivere ai bambini una nuova esperienza di abbandono e tradimento da parte degli adulti. Le stesse ragioni per cui le coppie italiane gridano l?insostenibilità dello stand-by a cui sono costrette da oltre due anni: «Abbiamo dei bambini che ci aspettano, non possiamo deluderli». Per questo tutti serrano le fila: il caso di Maria deve essere l?occasione per ripensare l?organizzazione di questi viaggi, a cominciare dal Comitato minori stranieri. Partendo da un punto fermo: un ospite è diverso da un figlio. Melita Cavallo: sbagliano La più severa, sul tema, è Melita Cavallo: «Che in alcuni casi scoppi la scintilla a me sta anche bene. Quello che vedo in modo negativo è la strumentalizzazione del percorso. Perché chi inizia ad ospitare questi bambini con intenzioni limpide, se strada facendo capisce che si è creata la situazione per fare domanda di adozione, comunque non vive meccanismi di possesso. Invece se l?intenzione è fin dall?inizio quella di strumentalizzare un?esperienza di ospitalità per trasformarla in un?adozione, i genitori passeranno sempre al bambino questo messaggio, creando in loro aspettative enormi. L?adozione come mezzo per riempire un vuoto oggi è molto ridimensionata, grazie ai percorsi formativi fatti dagli enti autorizzati. Occorre fare lo stesso per i percorsi di accoglienza, creando due spartiacque, uno in Italia e uno in Bielorussia». Quali? «Non possono partecipare a questi programmi i bambini orfani, né adottabili. Quelli hanno un altro percorso, devono avere una famiglia, non un affidamento a termine. Per loro bisogna progettare i soggiorni come viaggio di un gruppo di bambini dentro una comunità ospite: non si può accettare che una famiglia stia con il ?suo? bambino. Da parte delle famiglie invece escluderei le coppie che hanno fatto domanda di adozione o che intendono farla. Ed eviterei che i bambini tornino sempre nella stessa famiglia. In tutti questi casi i meccanismi di attaccamento sono molto più forti». Chiaro che questo significa un ruolo più incisivo da parte delle associazioni, che devono essere iscritte a un apposito albo regionale, documentare un?attività specifica nell?area dei minori e non una generica attività di volontariato, avere componenti con una qualifica sociale. Ma ci sono anche due stoccate politiche: «Perché un intervento sia efficace, bisogna riunire le competenze sotto un unico soggetto, che potrebbe essere il ministero per la Famiglia. E poi occorre ridurre i logoranti tempi d?attesa per le adozioni: ridurre i tempi, non semplificare l?iter». Vittoria Sanese: vacanza sia Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia, parte dagli stessi due punti, ma sottolinea i rischi per il bambino. «I bambini sono tutti accattoni di affetto, figuriamoci questi. D?altra parte però questi bambini sono grandi, hanno più di 7 anni, sono in grado di capire la differenza tra una vacanza e una famiglia se qualcuno gliela spiega. L?importante è che le famiglie ospitanti si attengano al contratto: vacanza è, vacanza sia. Quasi quasi io uno scritto in questo senso lo farei anche firmare?». Per evitare false aspettative, dà anche alcune indicazioni: non fatevi chiamare mamma e papà, perché la forma dà sostanza alle cose; non sentitevi genitori perché non lo siete; non inondate i bambini di regali, perché devono tornare in un paese dove lo stile di vita è diverso. Sul non tornare nella stessa famiglia non è così pessimista: «In fondo è bello andare in vacanza nello stesso posto, a trovare gli amici; basta che ci siano i paletti giusti». Graziella Teti: nuovi percorsi Dagli enti autorizzati alle adozioni arriva una proposta chiara: percorsi formativi per entrambe le parti. Graziella Teti, responsabile formazione del Ciai, mette in campo la sua esperienza: «Il problema non è il desiderio di avere un figlio o di riempire un vuoto. Sappiamo tutti che c?è anche quello e che non c?è mai solo quello. È un desiderio che non va demonizzato, ma elaborato. Nell?adozione ci sono due mondi che si incontrano, entrambi sono portatori di bisogni, si tratta di imparare a mettere al centro i bisogni dei bambini. Le coppie cambiano durante i percorsi di formazione, diverso però è pensare: ?Io comincio a portarmi a casa un bambino, poi vediamo se lo riesco anche ad adottare?». E le famiglie? C?è la pietà umana, la rabbia per come è trattata la vicenda dai media, ci sono famiglie arrabbiatissime con i coniugi Giusto e famiglie che avrebbero fatto la stessa cosa. Ma tutti sperano che questo gesto sia servito a portare allo scoperto il problema. E che qualcuno lo risolva una volta per tutte.


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