Mondo

La vera posta in gioco. Fiorisci Firenze!

Tra il 6 e il 10 novembre in migliaia di giovani e non si troveranno nella città simbolo della cultura per il Forum sociale europeo. Ed un intervento di Ettore Colombo

di Marco Revelli

Il ?movimento dei movimenti? torna a incontrarsi, a quindici mesi da Genova. E questa volta ha di fronte un compito infinitamente più importante, e difficile, rispetto ad allora. Una responsabilità infinitamente più grande. Intanto perché il mondo, che allora già ci appariva attraversato da contraddizioni devastanti e ingiustizie insostenibili, è caduto ancora, squassato da un?ondata di odio, passando dal disordine alla guerra. E poi perché i tempi si sono fatti stretti, disperatamente stretti. A Genova in tanti, centinaia di migliaia, avevano gridato che quel mondo era impossibile, il mondo che i potenti della terra con arroganza rappresentavano e difendevano, e nei loro tour politico-mondani andavano propagandando, lasciandone la realizzazione all?economia e alla finanza. E che un altro mondo doveva essere possibile, doveva essere costruito. Ma si pensava, ci s?illudeva, che il tempo lavorasse per noi. Che davanti, per pensare e diffondere l?alternativa, avessimo una buona scorta di anni, forse di decenni, prima che le profezie realistiche e infauste sull?insostenibilità del modello di sviluppo prevalente oggi si avverassero. In corsa contro il tempo Quanto accaduto poco più di un mese più tardi, la tragedia delle torri gemelle e poi il crescendo di ferocia e di massacri che ne è seguito, ci hanno detto che avevamo ragione. Che era davvero impossibile. Non in prospettiva, non nel futuro, ma qui e ora, perché in esso nessuno è sicuro. Perché l?odio generatosi in un qualunque punto del suo spazio (e nel nuovo spazio della globalizzazione di odio se ne genera in misura spaventosa!) è in grado di operare ovunque, di produrre ovunque le sue crudeli conseguenze. E perché gli strumenti tradizionali della ?produzione dell?ordine? – la politica, il monopolio della forza, il governo – si rovesciano rapidamente, con velocità istantanea, nel loro contrario: in strumenti potentissimi di morte, in pericolosi apparati della violenza incontrollata, portatori di logiche in buona misura criminali (si pensi ai massacri in Afghanistan, ma anche alla recente vicenda di Mosca). Pensare l?alternativa, ma soprattutto inventare un modo per praticarla qui ed ora, è diventata la condizione per esistere. In questa nuova, annunciata ma inattesa condizione, la sola denuncia dell?ingiustizia, pur doverosa e nobile, non basta. Di fronte alla guerra senza fine, senza confini e senza limiti che si annuncia, che è già tra noi, non si può più ?lavorare sui tempi lunghi? rinviando a essi le soluzioni e limitando il presente alla propaganda. Occorre pensare un pensiero che sia anche azione, una cultura che sia già in sé risposta e alternativa, diversa da ogni altra risposta e alternativa date in passato perché lo scenario è inedito. Questo è il nodo che hanno di fronte le decine di migliaia di donne e uomini nell?appuntamento di Firenze: la necessità di un salto in avanti culturale, che è però anche, e forse in primo luogo, antropologico (l?elaborazione di un diverso tipo di comportamento umano, di un diverso stile di vita e di agire). O, se si preferisce, esistenziale. E che passa attraverso due porte strette, che Genova non seppe a suo tempo affrontare: il tema della nonviolenza, e il tema della contaminazione reciproca (della convivenza nel rispetto tra diversi). La prova della pace La nonviolenza assoluta, programmatica, di principio, come vera alternativa alla logica di guerra che sconvolge il mondo. La nonviolenza come stile di vita prima che come strumento politico: come condizione per una riforma radicale di una politica che proprio dal suo rapporto empio con l?uso strumentale della violenza ha derivato il suo fallimento (la sua trasformazione in causa di disordine globale) e come condizione per quella ?antropologia di pace? che deve necessariamente sostituire quella ?antropologia di guerra? che ha dominato il XX secolo. E, in secondo luogo, la capacità delle diverse componenti di questo movimento che in realtà movimento non è ma galassia e arcipelago, di convivere e rispettarsi a vicenda come condizione per, a vicenda, trasformarsi, disponibili, se necessario, a rinunciare ai propri involucri organizzativi, alle proprie identità indiscutibili, per entrare davvero in rapporto e in comunicazione di quella maggioranza di umanità che, come noi, va cercando una via d?uscita. Per questo la prima prova di Firenze si giocherà sul tema della pace: non solo su giusti discorsi contro la guerra, ma sulla capacità di porre in essere comportamenti di pace, forme pacifiche, integralmente pacifiche, di mobilitazione e di manifestazione. Se le giornate di Firenze passeranno senza incidenti, potremo dire che essa è stata vinta. E che il movimento dei movimenti è diventato davvero ?moltitudine?. Slogan vecchi o facce nuove? Parliamoci chiaro, quello del Forum sociale europeo convocato a Firenze è un vero banco di prova per tutto il movimento, no o new global che sia. Genova andò a finire come si sa (male), nel mezzo ricordiamo solo meste (seppur giuste) commemorazioni e un certo Italy social forum, mai nato. Di Forum locali ne abbiamo visti nascere e appassire diversi, ma il giudizio rimane interlocutorio. Chi li ritiene seri o spera che «si faranno» e chi li giudica semplici emanazioni dei partiti della sinistra. E forse è proprio nel rapporto con l?agire politico locale e mondiale che si scioglierà una delle contraddizioni principali del Forum. Il problema non sta nemmeno, in fondo, nella necessità di ?accantonare? o ?cambiare? le stesse, solite facce di sempre, ma nel capire se le nuove o vecchie facce appartengono alla società (prima ancora che civile, reale) italiana, europea e mondiale che cerca con sagacia e intelligenza, caparbietà e serenità, nuove strade alle logiche perverse del neoliberismo e del neomilitarismo oppure se il gioco è tutto e solo interno ad una parte politica vaga da collocare, ma facile da etichettare. Il resto, Campagna per la riforma della Banca mondiale, cancellazione del debito ai Pvs, lotta al commercio delle armi e critica serrata al potere delle multinazionali (per non dire del no alla guerra), rischia di essere pura enunciazione da programma ufficiale o, più prosaicamente, lista della spesa. La lista delle vetrine rotte, però, questo è certo, non la faranno solo ?bottegai?, ?servi di regime? e ?polizia fascista?. Dopo Genova, ad esempio, l?hanno fatta anche tanti movimenti, gruppi e singoli individui che si possono disprezzare, definendoli ?moderati?, ?cattolici?, magari ?buttiglioneschi?, ma che un merito, incontestabile, ce l?hanno: mettere in circolo facce nuove, fresche, entusiaste. Il bilancio vero infatti, verrà fatto su chi ci sarà, come ci starà e perché avrà scelto di esserci e di starci, di venire e di partecipare. è successo a Porto Alegre con fare generoso e pacato. Accadrà anche decidendo di «portare un bacione» o vandalizzare Firenze. A proposito, città e contado qualche faccia nuova da suggerire l?avrebbero. Quella di don Lorenzo Milani: faceva il prete di una sfigata scuola di montagna, insegnava che «l?obbedienza non è una virtù» e che «anche le oche sanno sgambettare» . Quella di Giorgio La Pira, che di professione era sindaco, non santo, e che quando decideva una cosa (tipo: opporsi alla guerra in Vietnam) tendenzialmente la portava fino in fondo. E quella di Roberto Benigni. Non tutto quello che fa è perfetto, ma una cosa la sa: ironia, dolcezza e fantasia sono le armi migliori in circolazione. Ettore Colombo


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