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Pittura, musica e tango. Ecco le ricette in campo

Alzheimer/ Le esperienze. La sfida sociale all'emergenza; la priorità è la stessa: alleviare le famiglie

di Stefano Arduini

Si può combattere un nemico imbattibile? Non sono ancora in molti quelli che ci provano, ma la risposta è sì. In questi ultimi anni il fronte anti Alzheimer si è ampliato. E a fianco di strutture mediche o paramediche si è fatto strada anche il privato sociale. Il ventaglio degli interventi si è quindi arricchito di esperienze e sensibilità nuove. A trarne giovamento, oltre naturalmente ai malati, sono stati i familiari e, più in generale, i care givers.

Soprattutto dal punto di vista socio-assistenziale, Milano costituisce un punto di riferimento inarrivabile. Non stupisce quindi che in questa città si siano sviluppate le realtà più all?avanguardia. Detto della Federazione Alzheimer Italia, che proprio nel capoluogo milanese ha scelto di stabilire la sua sede principale, meritano la vetrina almeno altre tre sigle.

Cafè itineranti
La sezione milanese dell?Aima – Associazione italiana malattia di Alzheimer ha ormai messo a regime il metodo dell?Alzheimer Cafè. Ideato nel 1997 dal medico olandese Bère Miesen, e ormai diffuso in altre grandi città europee come Londra, Vienna e Parigi, costituisce una costola importante del ?laboratorio Alzheimer?, l?approccio multilaterale dell?associazione che comprende anche corsi di formazione per parenti e badanti. Ma cos?è l?Alzheimer Cafè? «L?obiettivo è permettere ai familiari di trascorre alcune ore di respiro restando però a fianco dei malati», risponde Vanna Murru dell?Aima di Milano. Il tango, la pittura, il cinema e la musica sono i temi scelti per i prossimi appuntamenti, una volta a settimana, da qui a fine anno. Quattro incontri itineranti al mese, 30 invitati per volta: «A settembre abbiamo incominciato con la scuola di tango, ottobre sarà invece dedicato alla pittura, novembre alla ripresa e al montaggio per concludere a dicembre con le lezioni di fisarmonica, il cui suono è l?unico che i malati di Alzheimer riescono a distinguere nitidamente».

Fondazione antistress
L?idea dell?Alzheimer Cafè ha convinto anche la Fondazione Manuli, «anche se», interviene la presidente Cristina Manuli, «il nostro sarà un approccio meno ricreativo e più riabilitativo». ?Un aiuto concreto per l?Alzheimer?: dietro lo slogan della fondazione si svela un impegno che in un territorio, quello milanese, dove si calcolano 13mila casi, grazie all?apporto di 150 operatori geriatrici specializzati e un centinaio di volontari («sempre meno, purtroppo») fornisce ogni anno assistenza domiciliare gratuita a 200 famiglie. «Il nostro intervento non dura mai oltre i sei mesi, lo scopo finale è di fornire alla famiglia gli strumenti necessari per superare l?inevitabile stress, per rendersi autonoma. Imparando a conoscere la malattia, ma anche mettendosi in rete con le strutture del territorio», spiega la Manuli.

Cooperativa alzheimer
Un caso efficiente di integrazione pubblico-privato arriva dalla periferia del quartiere Certosa-Villapizzone di Milano dove lavora la cooperativa Simone De Beauvoir, affiliata al circuito Cgm. Anche in questo caso si tratta di un servizio di sollievo alle famiglie. «Ogni giorno dalle 9 alle 18 ospitiamo 20 malati», interviene la presidente Rita Origo. Per fare cosa? «Cerchiamo di sfruttare al massimo il nostro giardino di 800 metri quadrati, che abbiamo attrezzato per le passeggiate con un percorso antiscivolo in legno e indicazioni in giallo, il colore più significativo per chi soffre di Alzheimer». Ma non solo. «Il programma settimanale per gli uomini prevede il gioco delle bocce, sono ancora in molti quelli che riescono a divertirsi in questo modo, e per le donne corsi di cucina».

Il gentle care
«Non siamo onnipotenti, nostro compito è di occuparci della fase più acuta della demenza», la voce è quella di Antonio Guaita, direttore medico dell?istituto Golgi di Abbiategrasso e segna il passaggio dalla prospettiva socio-assistenziale a quella medica. Il suo approccio, mutuato dall?esperienza canadese, prende il nome di gentle care. Il professore lo spiega così: «Il malato di Alzheimer perde le facoltà cognitive in modo definitivo, la riabilitazione, quindi, significa fornire delle protesi». In tre ambiti specifici. Lo spazio fisico, «un chiostro aperto al passeggio, senza barriere architettoniche, dove il punto di arrivo coincide con quello di partenza e in cui è impossibile perdersi, senza dover legare il paziente alla sedia». Le persone, «familiari e operatori devono imparare che spesso pongono al malato questioni che eccedono la loro capacità cognitiva. Se un malato si sveglia alle due di notte e chiede la colazioni, bisogna servirgliela, perché non è in grado comprendere lo sfasamento temporale, opporsi sarebbe nocivo». E qui arriviamo al terzo tassello del gentle care: le attività. «L?aspetto valoriale è cruciale. Non si può solo giocare a tombola o ballare. Far partecipare l?anziano nella scelta dei vestiti, per esempio, è molto diverso da mettergli addosso la prima cosa che capita», conclude Guaita.

A Guidonia è tutto gratis
A Guidonia, provincia di Roma, Gabriele Carbone è il responsabile dell?unità Alzheimer del Centro demenze dell?Italian Hospital Group. Un centro, caso quasi unico in Italia, che riunisce sotto lo stesso tetto, l?Uva (Unità di valutazione Alzheimer), la formazione dei care givers, l?assistenza domiciliare, un centro diurno aperto dal lunedì al sabato e il reparto ospedaliero. «In questo modo teniamo sotto controllo il malato nel corso di tutta la malattia», specifica Carbone. Particolare non irrilevante, per i malati l?intera catena di servizio è a costo zero, «grazie a una convenzione stipulata con la Regione Lazio».

Isolati a sud
Anche nella cura dell?Alzheimer i ritardi del Mezzogiorno rispetto al Nord del paese sono abissali. Qualche mosca bianca però esiste. Come nel caso dell?Unità operativa di psicogeriatria della Asl 9 di Trapani. Qui Gabriele Triti ha coordinato l?unico reparto specializzato di Alzheimer del Sud del paese. «Abbiamo lavorato fino a poche settimane fa prima di chiudere per mancanza di fondi». Rimangono in piedi l?Uva e il servizio di assistenza domiciliare gestito a braccetto proprio con l?Aima. Anche qui però non tutto fila per il verso giusto. «Oltre ad occuparci dei casi», si rammarica Triti, «teniamo corsi di indennità psicologica per i parenti. Purtroppo devo notare che la loro sensibilità è decisamente inferiore rispetto a quella che si riscontra al Nord».

Federazione Alzheimer Italia
www.alzheimer.it

Aima -Associazione italiana malattia di Alzheimer
www.alzheimer-aima.it

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