Cultura

Al Cairo con Omero. Così ho conosciuto Mahfuz

L'avventurosa edizione italiana del capolavoro del Nobel appena scomparso

di Sara De Carli

Tutti noi abbiamo un film in cui riconoscerci. Ce l?aveva anche Naghib Mahfuz: «Sono come Vittorio Gassman in Profumo di donna. Sono inutile come quel militare. Cieco e inutile». Lo ha confidato a Luis Sepulveda, che oggi – ricordandolo – si chiede: «Ma cos?altro è uno scrittore se non un cieco inutile?». Chissà se erano gli occhiali spessi, con quella montatura fuori moda e le lenti scure a rendere vecchi e piccoli quegli occhi. Don Antonio Balletto oggi ha 76 anni e vive a Genova. Nel 1991 ha portato in Italia Naghib Mahfuz. Allora era direttore editoriale alla Marietti e nonostante la condanna che il testo aveva avuto in Egitto ha pubblicato Il rione dei ragazzi. Mahfuz lo ha incontrato una volta sola, in un caffè del Cairo, non ricorda se l?Alì Baba o El Nil: «Un?esperienza bellissima. Per tutto il tempo mi è sembrato di avere davanti Omero. Mahfuz era un vecchio, minuto, fragile, ma emanava un fascino straordinario. Credo sia perché ha avuto una vita personale intensissima e difficile. Lui comunque sapeva parlare della gente, vedeva la grandezza e la dignità dell?uomo in un vicolo sperduto del Cairo, in una mano che tiene un pezzo di pane e una tazza di caffè». Aveva l?occhio fino. Come Omero. Cieco pure lui. Vita: Come è nata l?idea di tradurre Mahfuz? Antonio Balletto: Aveva vinto il Nobel nel 1988 e si cominciava a tradurlo in Europa. Io l?ho letto in francese e me ne sono innamorato. Alla Marietti avevo voluto due collane ?aperte all?altro?, dedicate una al mondo ebraico e una a quello arabo-islamico. Già allora mi sembrava urgente conoscersi a vicenda, perché prima di imparare a dialogare è necessario conoscersi, almeno un po?. Abbiamo scelto Il rione dei ragazzi per due motivi: uno, perché è un?allegoria della storia sacra, con i suoi protagonisti che altro non sono che la metafora di Adamo, Mosè, Gesù e Maometto, con tutti i problemi di incomprensione e di contrasti dentro la stessa umanità. Due, perché Mahfuz non fa un saggio, ma racconta la vita umile delle strade del Cairo. È questo il modo per arrivare alla gente. Vita: Ma quel testo era stato condannato in Egitto, dopo che soltanto poche puntate erano apparse sul quotidiano Al-Ahram. Nel 1989 era stata emessa la fatwa contro i Versetti satanici di Rushdie. Non avevate paura? Balletto: Sì, i timori c?erano, ma non abbiamo mai ricevuto minacce da nessuno. Personalmente non avevo granché da perdere, ero più preoccupato per Fouad Allam, allora direttore della collana, che rischiava di più. Alla prima presentazione del libro la sala era presidiata dalla polizia. In realtà la gente non era pronta: il libro era straordinario, Mahfuz aveva vinto il Nobel, ma abbiamo venduto soltanto mille copie. Me ne aspettavo almeno quattromila. L?Islam allora sembrava ancora non riguardarci. Vita: Oggi invece… Cosa può dirci il libro di Mahfuz? Balletto: Dobbiamo metterci in testa che le culture sono molte e che non devono essere messe in competizione, ma unite, affiancate, come in una bella rosa, dove i petali sono tanti. La grandezza di Mahfuz è la sua capacità di raccontare la vita della gente comune, senza ideologie o sovrastrutture. È nella vita che c?è la verità. L?integrazione si fa nelle cose di tutti i giorni, là dove si vive l?uno accanto all?altro senza sovrapporre le ideologie alla vita. Vita: Ma com?è che un prete di provincia diventa precursore dell?apertura all?Islam attraverso la letteratura? Balletto: Ho sempre amato i confini e i sentieri sulla collina, quelli da cui vedi entrambi i lati della collina. Ho avuto dei buoni professori al liceo, che mi hanno insegnato a cercare la bellezza e la verità: nel mondo arabo ne ho trovata tanta. Perché proprio lì? Perché nella vita a muoverci sono anche i fiuti e i desideri. È mai andata a funghi? Non c?è una ragione per andare proprio là. Però ci vai e i funghi li trovi.


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