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Il dottore è malato. Di precarietà

Inchiesta /Nei nostri ospedali il 20 % del personale è a contratto a tempo determinato Un trend in continua e inquietante crescita

di Maurizio Regosa

Se diciamo precari, a che pensate? Al giovanotto del «Pronto, sono Marco in cosa posso aiutarla?», al supplente del liceo, all?assistente universitaria giovane e magari carina con cui ciascuno ha in cuor suo più che solidarizzato.

Forse non vi verrà in mente una categoria egualmente predisposta alla flessibilità: i medici ospedalieri. Se ne parla tanto in questo periodo: intra o extramoenia ed esclusività del rapporto hanno riempito i giornali estivi avidi di polemiche, prefigurando anche nell?attuale epoca Turco i contrasti di quella che fu la riforma Bindi. Quel che di rado viene menzionato è un fenomeno dai contorni imprecisi, che riguarda molti ospedalieri non inquadrati da un contratto tipico. Un fenomeno al quale un recente e molto cool documento del ministero della Salute intitolato Un New Deal per la salute, fa un rapido, significativo cenno: occorre «avviare il superamento delle forme di lavoro atipiche che mascherano spesso un vero e proprio precariato». Non un?emergenza, dunque, ma qualcosa che va affrontato in tempi rapidi.

Stime, non rilevazioni
Qualcosa di cui si sa, però, assai poco. Esistono solo stime. L?ultima, del giugno scorso, della Funzione pubblica Cgil parla di un totale di 160mila persone. Cioè la sanità si reggerebbe sulle spalle dei precari: lo è almeno il 10% dei medici e il 28% degli altri operatori (infermieri o tecnici). Aldilà delle discussioni sulle diverse stime, quasi tutti i medici indicano percentuali a due cifre dando percentuali anche peggiori della stima Cgil: forme diverse di flessibilità riguarderebbero circa il 20% dei 110mila medici ospedalieri.

Dall?altra, ci sono i ricercatori che gettano acqua sul potenziale fuoco. Così ad esempio è molto cauto Carlo De Pietro del Cergas – Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sociale e sanitaria, secondo il quale la percentuale dei contratti atipici nel mondo ospedaliero va, al contrario, ridimensionata. «Occorre ricordare», avverte, «che in Italia ci sono più medici che nel resto del mondo (sono tre volte i loro colleghi inglesi) e che gli specializzandi sono gli unici ad avere pagato il praticantato (rispetto al gratuito lavoro di aspiranti commercialisti e avvocati)».

Se in generale non è facile dare i numeri certi del precariato – come hanno ribadito di recente su Lavoce.info Tito Boeri e Silvia Pasqua – nel caso dei medici pare davvero impossibile anche a causa di una vera e propria babele linguistica (ma, nomina sunt res? ci ha da tempo ammonito Pasolini): c?è chi ha un ?incarico libero-professionale? (con partita Iva), chi è ?dipendente a tempo determinato?, chi è ?lavoratore a progetto?, chi è ?borsista? oppure ?assegnista di ricerca??

Un caos che si riflette anche nella classificazione del personale applicata da un ristretto ma qualificato gruppo di 33 ospedali (molti dei quali eccellenti e di chiara fama) che sostiene il progetto Ipcom (per teleconsulto medico e formazione a distanza con i centri sanitari italiani che operano nel mondo): nelle schede fornite dal ministero della Salute il personale laureato non di ruolo viene ricompreso in due assai vaghe categorie: ?contrattisti e borsisti?. E, in ogni caso, fra tutte e due la soglia del 20% risulterebbe abbondantemente superata.

Non ci saranno dati certissimi, epperò non mancano segnali di un crescente disagio. Per esempio nel marzo scorso numerosi medici di Puglia e Basilicata hanno dato vita all?Associazione medici precari d?urgenza e d?emergenza e hanno avuto l?appoggio dell?Ordine dei medici.

In questi mesi Federspecializzandi (che raccoglie i circa 25mila medici specializzandi italiani) ha lottato per ottenere l?applicazione della 368, legge finora largamente inattuata e approvata nel 1999 sulla base di una direttiva europea del 1992: dall?anno prossimo dovrebbe essere finalmente attivo un percorso formativo soddisfacente che preveda le necessarie tutele anche previdenziali.

Quel che pare certo è che la flessibilità ospedaliera non paga. «Avere una borsa di studio per la specialità significa prendere circa 800 euro netti al mese», afferma Roberta Petrucci, presidente di Federspecializzandi. A Roma, ci spiega Ada Sacchi, direttrice del Dipartimento di oncologia sperimentale dell?Istituto nazionale tumori Regina Elena, «tre anni di dottorato sono pagati dagli 800 ai mille euro mensili. Quanto ai contrattisti appena laureati possono avere circa 800 euro mensili; se sono più anziani possono arrivare a 2.500 lordi. Infine una borsa di studio, generalmente per progetti, e quindi della durata di 2 o 3 anni, va dai mille ai 1.200». Va un po? meglio al Nord. Secondo Giuseppe Landonio, dirigente oncologo del Niguarda e consigliere comunale a Milano (per l?Ulivo), «al Nord la media viaggia tra i 1.200 e i 1.500 lordi. Va detto che una parte, circa un terzo, dei contratti precari di cui parliamo non sono nemmeno a carico diretto delle amministrazioni. Spesso sono pagati da fondi divisionali, raccolti anche tramite sperimentazioni sostenute da privati».

Precari over quaranta
Che la carriera medica fosse lunga, lo si sapeva. Sei anni di università più quelli per la specializzazione: si fa presto a spegnere 30 candeline.

«Io sono stata precaria dai 22 ai 29 anni; poi ho avuto un posto non stabile ma in staff; verso i 31 anni ho raggiunto la stabilità», ricorda la Sacchi. Che aggiunge: «Ora i tempi sono molto più lunghi. Si può rimanere precari fino a 40 anni per poi magari rinunciare visto che non ci sono prospettive oppure andare all?estero».

Il percorso ospedaliero si allunga, prevedibilmente la vocazione (giustamente cara all?ex ministro Veronesi) si stempera, la passione avvizzisce. «I giovani hanno voglia di fare e spirito di sacrificio, ma l?entusiasmo dura quattro, cinque anni. Oltre si va nella disillusione, nel disagio, nella demotivazione. Una forma di precariato è accettabile se limitata nel tempo, se si prolunga come si sta prolungando sempre più, crea disamore. Quello che vorremmo è che non si debba aspettare fino a 35, 40 anni per trovare una collocazione sicura», conferma Landonio. Quindi da una parte diminuisce la percentuale degli strutturati; dall?altra le incombenze continuano a crescere e per farvi fronte si ricorre ai medici a contratto.

Come si sia arrivati alla situazione attuale è presto detto: «Di fatto la storia comincia sette, otto anni fa con il blocco delle assunzioni, deciso dalle Finanziarie, che ha impedito di coprire i posti vacanti. Si è cominciato ad assumere un medico ogni due pensionamenti e questo ha avviato il processo di destabilizzazione dell?organizzazione tradizionale. Le Regioni hanno poi svolto una politica favorente il precariato: nessuna ha introdotto correttivi rispetto alle norme delle Finanziarie», spiega ancora Landonio.

Indubbiamente, l?auspicato contenimento della spesa per il personale c?è stato: nel 1995 questa voce rappresentava il 42,48% della spesa sanitaria nazionale; nel 2004 era scesa al 33,76%.

Ma cosa fanno i medici con contratti atipici? «Praticamente», continua Landonio, «si dedicano al 90% delle attività del reparto. I contrattisti coprono anche i turni di guardia, i borsisti in genere vengono risparmiati e si dedicano di più alle attività quotidiane di supporto». Ed è proprio sulla pratica del supporto quotidiano che qualcuno innesta un ragionamento ulteriormente polemico: i precari sono una pattuglia che svolge funzioni di supplenza rispetto a quei medici dirigenti che dovrebbero dedicarsi a tempo pieno all?ospedale ma sono distolti dalla loro attività privata. Tanto i contrattisti non faranno contestazioni?

Mansioni uguali, contratti no
Una tesi accolta da molti. Con qualche distinguo. Ad esempio per Ada Sacchi questo fenomeno non solo «è sì possibile ma io vedo implicazioni specie sulla formazione dei giovani sempre più spesso destinati a un lavoro routinario di raccordo (raccolta dati sul paziente, immissione in cartella e in banca dati)».
Di diverso avviso Landonio, per il quale non vi è rapporto fra l?opposizione dei medici strutturati all?esclusività e il precariato: «I due fenomeni non sono correlabili. Abbiamo bravissimi primari che si dedicano in modo esclusivo e ciò nonostante abbiamo sempre più precari».

Forse si dovrebbe intervenire sui meccanismi di finanziamento degli ospedali pubblici. I famosi DRG, ovvero i Raggruppamenti omogenei di diagnosi, introdotti nel 1995, che stabiliscono quanto per ogni singola patologia debba essere rimborsato. Può essere, avanza qualche osservatore, che non sia molto ben calibrato il rimborso. Secondo altri occorrerebbe ripensare l?intero sistema, lavorando sia sul finanziamento che sul controllo della spesa e sugli sprechi. Un?idea ragionevole perché in fondo è un lusso anche preparare bravi medici e poi metterli in condizione di andarsene perché non gli si può offrire un rapporto di lavoro continuativo.

Un lusso che non potremmo davvero più permetterci.

I numeri del fenomeno
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