Volontariato

Katrina, il j’accuse di Spike Lee

Presentato a Venezia il docu-film del regista afroamericano. Quattro ore di testimonianze dei sopravvissuti: la loro rabbia e le loro inedite accuse

di Riccardo Bagnato

Basterebbero forse i numeri per capire cosa è successo a New Orleans il 29 agosto di un anno fa, quando l?uragano Katrina si è abbattuto sulla capitale della Louisiana, negli Stati Uniti: circa 5 milioni di persone rimasero senza corrente elettrica per quasi due mesi. La Croce rossa americana, l?Esercito della Salvezza, Oxfam, e molte altre associazioni locali raccolsero oltre 4 miliardi di dollari per soccorrere chi era rimasto senza più nulla. In tutto quasi 150mila chilometri quadrati di terreno furono devastati dal passaggio di Katrina, lungo tutta l?area del golfo, da Miami in Florida alla città di New Orleans in Lousiana, dove ancora oggi rimane da spostare il 70% dei detriti. I morti, secondo le autorità americane, furono 912, di cui il 52% di origine africana e il 40% caucasica. L?80% delle vittime erano over 50. Un bilancio, però, che non convince chi viceversa parla di migliaia di perdite, in maggioranza di neri. Chi non solo accusa, ma sospetta di un colpevole ritardo da parte delle istituzioni al momento dei soccorsi, fino a ipotizzare l?esplosione colposa di alcuni argini protettivi a beneficio di alcuni quartieri, ricchi e bianchi, e a discapito di altri, poveri e neri. Ed è su questo punto che il nuovo lavoro del regista Spike Lee non transige, lasciando agli oltre 100 testimoni della vicenda il compito di raccontare il dolore, ma anche la rabbia profonda che attraversa classi sociali ed etnie, senza però mai nascondere l?umiliazione di chi, nato a New Orleans, si è da sempre sentito un americano di serie B. Ma i numeri non bastano o talvolta possono ingannare, e Spike Lee lo sa, così come sa che le immagini senza emozioni non resistono al tempo. Gli ci sono voluti un anno di lavoro e due miliardi dollari per raccogliere e montare quattro ore di rabbia. Per questo, per il poco tempo trascorso dall?accaduto e le esigenze del committente (la rete via cavo Hbo), il documentario Quando gli argini s?infransero – Un requiem in quattro atti, presentato al festival del cinema di Venezia, adotta uno stile televisivo e diventa un atto d?accusa, al limite dell?inchiesta. E se il paragone con il suo concittadino e collega Michael Moore, autore di docu-film del calibro di Bowling for Columbine e Fahrenheit 9/11, può sembrare suggestivo, il confronto si ferma qui. Perché Spike Lee possiede una tecnica che gli permette di parlare di politica senza mai sembrare puramente propagandistico. Anche quando decide di inserire immagini d?archivio dell?arrivo del presidente Lyndon B. Johnson a New Orleans in occasione dell?uragano Betsy nel 1965. All?indomani della catastrofe, l?allora presidente degli Stati Uniti, infatti, visitò immediatamente il quartiere ?Lower Ninth Ward?, il più colpito nel 1965 esattamente come un anno fa. Cosa che – sottolinea la pellicola di Lee – l?attuale presidente George W. Bush ha fatto solo qualche tempo dopo. Un quartiere, questo, dove «solo un quarto della popolazione è ritornata», ha sottolineato lo stesso Spike Lee. «Spero che questo documentario», ha concluso il grande regista, «metta in luce il fiasco, il fallimento degli aiuti, e riporti l?attenzione degli americani su ciò che allora non ha funzionato».


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