Non profit

Ma se i fondatori sono “profit” credibilità e indipendenza sono a rischio

Onlus e società di profitto: un approfondimento di Carlo Mazzini sul tema lanciato dal professor Pettinato su Vita n. 30 (“Onlus e società, il pregiudizio è duro a morire”)

di Carlo Mazzini

Riceviamo e pubblichiamo un interessante approfondimento di Carlo Mazzini sul tema lanciato dal professor Pettinato su Vita n. 30 (?Onlus e società, il pregiudizio è duro a morire?). Pettinato aveva stigmatizzato la decisione della Commissione tributaria di Milano di negare la qualifica di onlus a un ente fondato da soci ?profit?. Il tema proposto dal professor Pettinato su Vita n. 30 è – per usare un termine molto estivo e pubblicitario – ?sfizioso?, soddisfa il piacere di ragionarci su. La questione è se una onlus possa dirsi tale quando costituita da società for profit, tema oggetto di una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (Ctp 152/41/06). Il quesito, in realtà, non è nuovo, ed è bene recuperare brevemente le diverse posizioni interpretative. In premessa, la legge vieta la qualificazione tout-court di onlus agli enti pubblici, alle società commerciali (eccetto che alle cooperative), e ad altri soggetti (art 10, c 10, DLgs 460/97). L?Agenzia per le Onlus (di cui fa parte il professore) con Atto di Indirizzo del 23 novembre 2004 era entrata nella vicenda, consentendo l?ammissibilità della partecipazione degli enti pubblici nelle onlus. L?Agenzia delle Entrate, invece, con Risoluzione n. 164 del 2004 aveva negato questa possibilità, laddove l?ente pubblico o la società commerciale fosse intervenuta nel sistema di governo con ?un?influenza dominante nelle determinazioni dell?organizzazione?. Tornando all?intervento del professor Pettinato, esso ci trova in accordo su molti aspetti, come la intrasmissibilità – quasi fosse per via osmotica – della qualificazione giuridica (ente di diritto pubblico o società commerciale) dall?ente partecipante a quello partecipato. Risponde al vero, inoltre, che – anche oltre la sentenza in oggetto – certe visioni pressapochiste del terzo settore sono sì isolate ma mantengono il loro carico di pericolosità, dato che in un mondo interconnesso come è quello attuale, anche a livello di istituzioni, non si può pensare a un non profit ritirato nella sua ?turris eburnea?, pauperistica e impoverente. Possiamo però affermare come l?intenzione del legislatore fosse quello di evitare un utilizzo ?profit? o ?pubblico? (nel senso del settore, non della fruizione) della premiante legislazione onlus. Sarà pure malizia, ma, ahimè, suffragata dai fatti che ove il profit si interessi di costituire ente non profit, possa intendere ricercare con esso un nuovo canale di affermazione del proprio brand, di fidelizzazione dei vecchi clienti, di comunicazione del proprio ?saper stare al mondo? (ciò che ora chiamano ?responsabilità sociale d?impresa?). Si noti che dette attività sono non solo lecite e legittime, ma anche auspicabili per un?infinità di ottime ragioni. E infatti, nulla vieta alle corporate – e sono moltissime ad averlo già fatto – di costituire una fondazione o altro ente non profit, non necessariamente onlus. Ciò che stona, con la qualifica onlus, è che il soggetto commerciale o il politico in cerca di affermazione/conferma intendano utilizzare questo acronimo (e i benefici sottesi) che, nel pensiero del cittadino, significa veramente qualcosa di ?terzo? dal mondo imprenditoriale e politico. L?influenza dominante, o, per riprendere una terminologia di triste attualità, la sudditanza psicologica tra profit e non profit (oltre che tra pubblico e non profit) appare palese in molti dei rapporti instaurati a livello di singoli enti. Mi accorgo spesso, nella mia assistenza al non profit, come esista a oggi uno squilibrio naturale in relazione alla forza ?contrattuale? dei soggetti, che gioca a sfavore dell?ente non profit, il quale viene spesso visto come il fratello povero del sistema economico-produttivo, quello che sempre chiede. Non credo che facendo entrare in forza predominante ?pubblico? e ?profit? nelle onlus si riesca a riequilibrare il rapporto di forza, ma – ne sono convinto – si arriverebbe a una sorta di resa. Perché un conto è la partnership, altro è la dipendenza. Una società commerciale che controllasse di fatto e di diritto una onlus sarebbe a mio avviso un fenomeno pericoloso e dequalificante per il non profit, dato che il nuovo soggetto godrebbe di tutti i vantaggi fiscali previsti, facendo sorgere presso il pubblico più di un sospetto sulle reali finalità o intenzioni della società. A parte la questione del mancato gettito, la moneta cattiva scaccerebbe come è tradizione quella buona, con ripercussioni particolarmente negative sulla credibilità del settore. Il non profit ha necessità di distinguersi, operando ?con? e non sotto l?influenza dominante di chi può fornire nuove risorse e capacità. L?indipendenza è un valore e, ove la legge non vi arrivi, va preservata anche con le interpretazioni della stessa.

Carlo Mazzini, StudioUno , Milano


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