Formazione

Finisterre, gran finale per un continente

Il luogo mistico dove chi ha concluso il cammino di Santiago, guardando il tramonto, brucia l'abito che lo ha condotto fino a l

di Daniele Biella

La scena è mozzafiato. Il gabbiano si libra nell?aria, il vento lo sostiene, mentre il sole scende a picco sull?Oceano. Tutt?intorno, un paesaggio diviso in due, mare da una parte, terra verde intenso dall?altra. E un faro, sul promontorio, intorno al quale si aggirano strani individui con zaino e bastone, impegnati a contemplare il tramonto e accendere piccoli quanto misteriosi falò tra le rocce. Niente paura, siamo in Europa. O meglio, siamo in quel lembo a ovest dove l?Europa finisce, il finis terrae dei Romani. Qui termina la terra conosciuta, pensavano con timore nel Medioevo. Al di là, l?ignoto, la fine del mondo. Oggi l?ignoto si chiama Oceano Atlantico, mentre il luogo dove la terra viene inghiottita dalle acque si chiama Finisterre e si trova in territorio spagnolo. Dimenticatevi la Spagna delle spiagge e del caldo tutto l?anno, dei tori e del flamenco. Qui cambia tutto. La regione è la Galizia, bagnata da incessanti piogge, ricca di foreste e patrimonio di tradizioni ancestrali. Una di queste vuole che le meigas, streghe d?aspetto truce ma cuore tenero, siano le custodi del destino dei pescatori di Finisterre. Essi affidano a queste donne la benedizione delle proprie barche, con un rito a metà tra valori cristiani e richiami al mondo celtico. La zona costiera di Finisterre ha un toponimo inappellabile, Costa de la Muerte. Qui, nel corso dei secoli, centinaia di naufragi hanno segnato il rapporto tra uomo e natura. Oggi il rispetto del mare è una legge che i bambini galiziani imparano a scuola. «Se non si conosce l?Oceano meglio andare a vivere altrove», dice José, giovane guardiano del faro di Finisterre, nonché aiutante del ristorante annesso, che si chiama El Semaforo ed è l?unico luogo turistico del promontorio. «Come tanti altri, ho un buon numero di parenti che hanno perso la vita in mare», prosegue José. «Vada a trovarli nel cimitero del paesino». In effetti, il cimitero, a metà strada tra il faro e il borgo, vale una visita. Teschi, simboli marini, scritte di devozione facilitano in qualche modo il viandante nel rapporto con i locali, i 5mila gallegos che vivono nelle viuzze a ridosso del porto, prima insenatura ?benevola? a 4 chilometri dalla fine del mondo. Il porto è il luogo del commercio, degli incontri, delle chiacchiere, una grande agorà cui gli intrepidi viaggiatori guardano con curiosità mentre gustano le specialità dal mare, pulpo e mejillones (polipo e cozze). «Ho vissuto in Italia per due anni, lavoravo per un?impresa navale a Genova», racconta Andrés, mentre serve un buon vino blanco galiziano, «poi sono tornato». Affari finiti male? «No, mi mancava la semplicità della mia terra, la natura incontaminata delle foreste, la potenza del mare in tempesta». Come non dargli torto. Centinaia di ettari di eucalipti, roveri e faggi attraversano tutta la regione, mentre sulle colline svettano le pale dei generatori eolici, capaci di catturare l?incessante vento dell?Oceano. Qui, i fondali marini offrono grandi varietà di pesci, sopravvissuti anche al disastro ecologico del novembre 2002, l?immensa marea nera di petrolio fuoriuscita dal mercantile Prestige. A ben vedere, il borgo e il promontorio sono le due anime di Finisterre. Difficile non rimanerne ammaliati: lo sa bene il pellegrino che, dopo le centinaia di chilometri a piedi per arrivare a Santiago de Compostela, continua verso il finis terrae, per compiere l?ultimo rito. In mezzo alle rocce, con l?Oceano davanti a sé, si rinnova bruciando i vestiti che l?hanno portato fino a lì. Poi alza la testa e, come il gabbiano, vede il sole scendere sul mare rosso fuoco.


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