Formazione

I ponti di Beirut

Senza la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro di due o tre giorni. Da Beirut Lucio Melandri

di Lucio Melandri

Imad è un ragazzo Libanese che da anni studia e lavora a Trieste, in Italia. Parla un italiano veloce, come una ?macchinetta?? e ci pone incessantemente una domanda: «ma noi libanesi, ci meritiamo tutto questo ?». Era venuto qui, a Beirut, a trovare i suoi genitori per le ferie estive e dopo pochi giorni si è trovato nel pieno degli attacchi e dei bombardamenti. Come tanti altri non è rimasto con le mani in mano: ha raccolto gli amici di un tempo ed ha costituito subito un comitato per assistere gli sfollati, come tantissimi giovani libanesi. In particolare si occupa di coloro che sono stati accolti dalle famiglie nella capitale ed hanno bisogno di cibo, materiali e supporto. «Beirut, Sidone, Byblos ? città nelle quali alla sera d?estate uscivamo con gli amici a bere qualcosa, a ballare?..a fare due chiacchiere. Da troppi anni paghiamo noi le conseguenze – continua Imad – a causa delle scelte e delle decisioni degli altri. Hezbollah, Israeliani, Maroniti, Sciiti, Sanniti ? si fanno da sempre la guerra. Eppure noi vorremmo tutti la stessa cosa: un paese in pace, nel quale puoi uscire tranquillamente con gli amici e la tua ragazza, lavorare, pensare alla tua famiglia». E proprio mentre oggi ci accompagnava in auto ha ricevuto la notizia della morte della zia a causa di un missile: si trovava a casa, a Sidone, dove aveva ospitato anche alcuni profughi del sud: «stanno cercando ancora sotto le macerie ? hanno trovato solo la zia, ma non si sa bene dove siano gli altri». Effetti collaterali dei bombardamenti? Imad riesce a non piangere ma, anzi, accelera a tutto gas sui ponti della capitale per paura di diventare un tutt?uno con i target preferiti dall?aviazione israeliana. Ieri pomeriggio eravamo in partenza per Chouf, una città a sud est della capitale: un appuntamento con il Kaimakan, il sindaco di quella zona, per comprendere meglio e definire i bisogni delle migliaia di rifugiati ospitati nella regione, che ancora ogni giorno, arrivano a frotte, disperati. «Con la benzina che abbiamo nel serbatoio non potremo mai farcela ad andare e tornare; speriamo di trovarne presso alcuni conoscenti lungo il percorso». E? Mohammed, il nostro collega che ci conduce con l?auto per le aree di questo paese. Il carburante non si trova più e non solo per le auto ma anche gli ospedali e tutte le strutture di soccorso. Il Libano è ormai al limite. E anche noi, lungo la strada non ne troviamo.
In fila per pochi litri di benzina che vengono razionati
Intersos si è posta l?obiettivo di distribuire gli aiuti agli sfollati, a quelle famiglie che fuggendo hanno abbandonato tutto. Sono ormai un milione le persone in fuga. Cisterne e taniche per l?acqua potabile, coperte, alimenti proteici, batterie da cucina. Ma senza il carburante come trasportare gli aiuti? Con i ponti bombardati e le strade interrotte come raggiungere le popolazioni? In Libano si sta consumando una tragedia. E? davanti agli occhi di tutti, ma nessuno riesce a fermarla. L?Alto Commissario dei Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un urgente appello: se non vi sarà la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro dei prossimi due o tre giorni. E non vi sarà più nulla per sostenere i civili. Rientriamo a casa, la sera, prima che su Beirut inizi la pioggia di bombe di ogni notte. Stanchi, un po? depressi ed anche delusi per non essere riusciti ad andare nella zona in cui eravamo attesi. La radio diffonde una notizia: pesanti bombardamenti nel pomeriggio su tutta la strada che conduce da Beirut a Chouf, dove ci aspettavano. Per oggi noi ce la siamo cavata. E gli sfollati di Chouf ?

Lucio Melandri, Intersos


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