Famiglia

E io vi dico che servirebbe un’ora di bel canto a scuola

«Perché il coro è formazione, disciplina, attenzione, ascolto». Parola di un esperto, da 40 anni direttore di Pavarotti in erba

di Sara De Carli

Niente Zecchino d?Oro, per carità. Grandissima istituzione, ma i bambini sono esibiti per la delizia degli occhi più che per quella delle orecchie e i brani proposti fanno il verso alla musica leggera formato baby. I cori di chiesa, invece, irregimentano troppo e piuttosto che cercare canti adatti ai bambini inseguono i brani celebri, quelli che inorgogliscono le mamme e le nonne. Nicola Conci ha 66 anni, è musicista didatta, ha lavorato con Riccardo Muti e Zubin Mehta e per sei anni ha diretto il Coro di voci bianche della Scala di Milano. Oggi vive e Gubbio. Era il 1967 quando, a Trento, fondò i Minipolifonici. In quarant?anni di esperienza, Conci ha messo a punto nuovo un metodo didattico per la formazione musicale dei bambini. Vita: Che differenza c?è tra un coro di bambini e uno di adulti? Nicola Conci: Con i bambini l?aspetto formativo del percorso è ancora più forte. Non basta garantire competenze musicali e non basta offrire uno spazio di aggregazione. Bisogna disciplinare senza irreggimentare. Il bambino non è un pappagallo da addestrare, ma un soggetto capace di interpretare il brano, di arricchirlo. A patto che il brano sia adatto a lui. Vita: Cosa intende? Conci: Ogni età ha le sue letture, giusto? E allora ha anche le sue canzoni. In Italia invece manca un repertorio per i bambini: abbiamo la musica religiosa alta, oppure autori che inseguono la musica leggera. In altri paesi c?è un repertorio specifico, fatto di canti popolari. Abbiamo bisogno di autori che scrivano brani per i bambini. Un esempio? Musicare le poesie di Gianni Rodari. I bambini hanno diritto alla musica come strumento privilegiato per crescere. Non si va a caccia di bambini per fare un coro: si mette in piedi un coro per dare ai bambini la possibilità di cantare. Non centrano né le ambizioni dei direttori né l?orgoglio delle mamme. Per questo l?obiettivo primario non è il prodotto, ma il percorso che il bambino fa. Vita: A che età si comincia a cantare? Conci: La musica non va capita, ma scoperta e vissuta. A tre anni si può cominciare a muovere la bocca, come si scarabocchia con i colori ma senza fare un disegno. Poi dai sei anni si può entrare in un coro organizzato. È importante che la sede del coro non abbia nulla a che vedere con la scuola, che i bambini la possano personalizzare, appendere disegni, lasciarci le loro cose, sentirla come una seconda casa. Vita: E quando si cambia la voce, cosa succede? Conci: È una fase difficile. Le ragazze spesso passano subito in un coro di giovani, i maschi invece per un paio d?anni sono fuori dai giochi. Poi a 17 anni in effetti è più difficile che tornino a cantare. Vita: Tutti lamentano che in Italia non abbiamo la cultura del canto e danno la colpa alla scuola. È così? Conci: A scuola oggi al massimo fanno cantare in coro le canzoni del momento. Non serve a niente. Cantare in coro è leggere la musica, educazione della voce, attenzione, ascolto. Secondo me dovremmo arrivare ad avere un coro nella scuola e un coro della scuola, come c?è l?ora di ginnastica per tutti e il gruppo di atleti che rappresentano l?istituto. Incontro molti insegnanti, vedo un certo interesse, stanno nascendo molti cori addirittura nelle scuole superiori: col tempo, i risultati verranno.


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