Non profit

La disumanità vive di bugie

L'editoriale/ Due riflessioni nel cuore dell'estate

di Giuseppe Frangi

Due riflessioni nel cuore dell?estate.

Primo. A parole la retorica del dolore (con tutti i se e tutti i ma del caso: ognuno accampa i suoi) dilaga. Nessuno ci risparmia parole di partecipazione per le vittime dei bombardamenti di questa guerra improvvisa e uscita subito di controllo. Con le immagini invece trionfa l?estetica del missile. Giornali e tv ce li propinano come se si trattasse di gioielli in una vetrina di via Condotti. Tirati a lucido, colorati, tutti ordinati. Degno completamento di questa iconografia quotidiana, ci sono poi le immagini dei bambini che firmano le bombe dedicandole ai loro sfortunati destinatari. Vero, terrificante cortocircuito: oggetti smaglianti, ?battezzati? da creature innocenti, che nessuno mette in relazione con le altre immagini che occupano le pagine dei giornali e gli schermi della tv. Quelle delle macerie, delle lacrime, delle vite spezzate. Nessuno ci ha pensato, probabilmente (ed è ancora più grave che se fosse frutto di un calcolo). Oggi l?informazione procede per una specie di forza di inerzia. Ma per quanto inerte, non lascia le cose come stanno. Insinua l?idea che la guerra abbia una sua legittimità, e persino una sua eleganza. Che con la guerra in fondo non ci si sporchino le mani e che un ordine sia ripristinabile, quasi per magia, proprio come quello di quei missili tutti disposti ordinatamente in fila. C?è un?irresponsabilità di fondo in tutto questo. Un defilarsi un po? ipocrita e un po? vigliacco: quei gioielli dalle sagome perfette, sono solo oggetti di morte. E presentarli come oggetti neutrali è un po? come rendersi complici. Se gli uomini non riescono proprio a sottrarsi alla trappola della guerra, almeno non si calpesti quell?ultimo accento di verità: il racconto della guerra come culmine dell?orrore.

Secondo. Finalmente l?indulto è legge: onore al governo Prodi che ha sfruttato lo slancio dei primi mesi per far passare un provvedimento che dal 2000 ad oggi era sempre naufragato. Tra le conseguenze positive del provvedimento ci sono quelle concrete di rendere un po? meno disumane le nostre carceri e di restituire una chance a persone colpevoli di piccoli reati o già avviate in un cammino di reinserimento. Un?altra conseguenza positiva è la sconfitta di quel moralismo giustizialista che, in virtù di una coerenza di principio, non si preoccupava di mantenere (sulle spalle di altri) una situazione intollerabile. Ma ora il ritorno alla libertà di migliaia di persone rappresenta una scommessa vera per tutti. Lo ha detto con lucidità Adriano Sofri che l?indulto è un rischio in nome di un bene. E il bene non può certo consistere semplicemente nella consolazione pietistica per persone sottratte ad una condizione di sofferenza indegna di un paese civile. Il bene vero sta nel capire e dimostrare che quelle persone liberate possono essere una risorsa. Che la libertà che hanno guadagnato può trasformarsi in un guadagno per tutti. Se si guarda all?indulto semplicemente come ad un atto di clemenza, si perde un?occasione. L?indulto è anche un investimento su persone sino ad ora costrette ai margini. Non basta chiedere fondi per aiutarli ad affrontare la fatica dei loro primi passi a piede libero. Ci vuole qualcuno che li attenda, che li accompagni, che collabori a costruire una vita diversa. La società civile – e la cooperazione sociale in particolare – in questi anni hanno messo a punto progetti e buone pratiche che adesso si rivelano senz?altro preziosi. Ed è un compito che oggi non può essere delegato a nessuno, istituzioni comprese.

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