Mondo
Dov’è l’Europa?
Savino Pezzotta risponde allo scrittore Yehoshua, che ha chiesto una forza di interposizione per fermare il conflitto israeliano-libanese. VITA in edicola scopre che l'Europa è pronta, o quasi
Le immagini televisive e i resoconti giornalistici che ci arrivano dal vicino Oriente e che ci mostrano quanto sta succedendo a Gaza e nel Libano, c?inquietano, ci turbano e pongono forti interrogativi a tutti noi che continuiamo a vivere la falsa normalità dei nostri giorni. A poche ore da noi si è riscatenata una guerra. È un orrore che ci colpisce duramente anche perché quella terra, per tanti motivi, non è estranea al cuore dell?Europa. Non possiamo volgere lo sguardo dall?altra parte e dire «sono affari loro». No! Non me la sento di dire così, come faccio fatica a parteggiare. Se non suonasse retorico potrei dire che sto con gli innocenti, con i bambini, le donne e gli anziani d?ambo le parti. Ma è facile dire così, forse è troppo facile.
Mi sto chiedendo come posso rispondere io che amo la pace, che rifiuto la guerra più d?ogni altra cosa, a quanto chiede un grande scrittore come Avrahm B. Yehoshua su La Stampa: «Oggigiorno l?Europa è unita in una comunità politica, economica e militare. Non c?è motivo che non invii nella regione una forza internazionale che goda della fiducia di libanesi e d?israeliani e che serva da barriera di separazione tra noi ed Hezbollah». A fronte di un invito che viene da una persona che ogni giorno è costretta ad abbandonare le sue normali occupazioni per correre nella ?stanza di sicurezza?, possiamo rimanere inerti e dividerci come tifosi? Se questo conflitto non cessa, se i terroristi non sono messi nelle condizioni di non nuocere, come realisticamente potremmo tornare nelle piazze a gridare «due popoli, due Stati» come facciamo da anni? La sicurezza d?Israele e del futuro Stato palestinese sono ormai così intrecciati che non sarà mai la guerra a risolvere i loro problemi. Solo la pace può dare delle risposte.
Allora occorre gridare: «Svegliati Europa! Esci dal tuo torpore e agisci, non lasciare ad altri quello che per storia e sensibilità ti appartiene». La ragione ci spinge su questi terreni, ma il cuore soffre ed è inquieto. Ancora una volta siamo profondamente interrogati e lo siamo fin dentro le viscere, sul tema della pace e della non violenza. Questa notte ho sognato che milioni di persone disarmate si recavano in Palestina, in Israele e in Libano e s?interponevano tra i contendenti. Un sogno è sempre l?espressione di un desiderio e di una speranza, ma è anche segno di una reale impossibilità. Si deve dunque rinunciare al sogno? Non credo che questo sia opportuno, anzi i sogni vanno coltivati e mai dimenticati.
Credo che la situazione attuale ci obblighi a un vero sforzo culturale che è l?uscita dal pacifismo per farci operatori di pace. La pace non è un?ideologia e non presuppone l?assenza di forza, non vuole dire mantenere le situazioni che si sono rilevate ingiuste per non entrare in contrasto con i vari manovratori, anzi essa è sempre emancipazione. La pace è più dell?assenza di conflitti armati, perché se dentro di noi non si fa largo una mentalità e una cultura di pace non ci sarà pace nemmeno attorno a noi.
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