Formazione

Sud del mondo: cresce l’economia, ma la povertà non si smuove

Un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo sviluppo (Unctad) fa luce sulle cifre distorte dell'attuale crescita economica di molti paesi poveri

di Joshua Massarenti

“L’entusiasmo relativo per questa crescita si compie senza ridurre la povertà”. Questa l’analisi porposta dall’economista maliano Habib Ouane giunto ieri a Parigi per presentare l’ultimo rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad). Sotto il titolo “Capacità produttive” si celano nei Paesi in via di sviluppo realtà economiche fatte di luci e di ombre. Nonostante una crescita economica eccezionale nel 2004 (circa il 5,6%, la percentuale più alta mai registrata negli ultimi vent’anni), molti paesi poveri sonop privi di un solido tessuto industriale, di piccole e medie imprese in grado di esportare prodotti manifatturati, di infrastrutture e di un consumo interno sostenuto. Insomma, tutti fattori sottolinea il rapporto della Unctad decisivi per una crescita strutturata in grado di fuoriuscire questi paesi dalla povertà. Il rapporto ha preso in esame cinquanta paesi di tipo Pma (paesi meno avanzati), la maggior parte dei quali sono situati in Africa (trentaquattro), ai quali si aggiungono Haiti, Timor Est o la Cambogia, ovvero l’11% della popolazione mondiale che non produce oltre lo 0,6% della produzione globale. In mancanza di capacità produttive, su che cosa riposa la crescita economica attuale? si chiede il rapporto. La riposta è: livelli record di esportazioni, di investimenti stranieri in paesi ricchi di petrolio e risorse minerarie e, infine, di aiuti pubblici allo sviluppo. Questi tre fenomeni, seppur positivi, hanno l’effetto di dare sollievo alla bilancia commerciale di un paese come il Mali e di gonfiare le cifre della sua crescita senza però creare impiego. Eppure tali impieghi si rendono necessari perché il Mali è confrontato a un drammatico esodo rurale. Infatti, “a Bamako così come a Ouagadougou (Burkina Faso, ndr), il 70% degli impieghi sono nel settore industriale”. Il più delle volte si tratta di piccoli commerci di sussistenza che coabitano con una manciata di filiali appartenenti a multinazionali. Questo priva l’emergere di una rete di piccole e medie imprese manifatturiere, decisive in termini di valore aggiunto e di lavori da offrire chiave in mano ai cittadini maliani o burkinabé. Secondo la Unctad, l’industrializzazione è l’elemento mancante per ridurre la povertà. “Le esportazioni di articoli manufatti a media e forte intensità tecnologiche” spiega Habib Ouane, “hanno rappresentato tra il 2000 e il 2003 meno del 3% del commercio totale di merci fabbricate da piccole e medie imprese, al contrario dei paesi sviluppati dove il fenomeno sfiora il 40%”. Le uniche eccezioni riguardano il Bangladesh, la Cambogia e il Senegal, “i quali registrano buoni risultati nel settore dell’esportazione di articoli manufatti”. In assenza di reali capacità produttive, “la maggior parte dei lavoratori devono guadagnarsi da vivere con mezzi e materiale rudimentali, un bassissimo livello di istruzione e di formazione nonché infrastrutture scadenti”. Per aumentare queste capacità produttive, è necessario ricorrere agli aiuti pubblici allo sviluppo, i quali fino ad ora hanno tralasciato i difetti strutturali delle economie dei paesi in questione. “Abbiamo gettato le basi dello Stato provvidenza” conclude la Unctad, “senza investire nelle fondamenta di un’economia di produzione”. L’invito, rivolto alla Banca Mondiale, è quello di non concentrare i propri sforzi soltanto nei progetti sociali.


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