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La pace lontana comincia da vicino

Questo luglio drammatico sembra aver impietosamente azzerato le speranze che quell’altro luglio di cinque anni fa aveva seminato...

di Giuseppe Frangi

Dov?è finita la pace? Questo luglio drammatico sembra aver impietosamente azzerato le speranze che quell?altro luglio di cinque anni fa aveva seminato. Era il 2001: anche quelli erano stati giorni drammatici e violenti, con la grande mobilitazione di Genova uscita fuori controllo per il folle comportamento di pochi. Ma in quei giorni duri la pace si era fatta visibile, non a parole ma sui volti, nei desideri, nei pensieri, nei comportamenti di centinaia di migliaia di persone. Ma ora dov?è finita la pace? È la domanda che assilla questi giorni assediati dallo spettro di una guerra davanti alla quale tutti mostrano un senso di impotenza. «È guerra, guerra vera», ha commentato dalla prima pagina del primo quotidiano italiano un commentatore che da tempo si augurava questa eventualità, come soluzione purificatrice di tutte le forze inquinatrici della storia (cioè quelle anti occidentali). Davanti alla ?guerra vera? vacillano anche gli uomini ponte, i mediatori che in questi anni hanno tessuto relazioni e ascolto laddove imperava il muro contro muro: ai pacifisti israeliani questa guerra impone di schierarsi, toglie ogni terreno di medietà. Dov?è finita allora la pace? Si può rispondere con un briciolo di speranza maggiore guardando ad un altro grande fatto che occupa il calendario di questo luglio concitato. Il 30 luglio, dopo 46 anni, si vota in uno dei più grandi e sfortunati stati africani, la Repubblica democratica del Congo. Dal 1998 ad oggi una guerra, completamente eclissata dai media, ha fatto 4 milioni di morti. Il fatto che lì si arrivi a votare per eleggere un presidente è oggettivamente un segno positivo. Ma, come suggerisce padre Giulio Albanese nel bellissimo articolo di questo numero, non basta a rispondere alla domanda che assilla questi giorni. Che pace è se non si ha coscienza di quanto l?Occidente, con i suoi comportamenti e i suoi stili di vita, ha reso possibile quell?interminabile conflitto? Il Congo è la zona del pianeta più ricca di un minerale essenziale per il funzionamento di telefonini e videogiochi. Il controllo del coltan – questo il nome del minerale – è stata tra le ragioni scatenanti la guerra. La pace in Congo inizia perciò anche da qui; non può fare mano della consapevolezza che i nostri comportamenti non sono ininfluenti. Che viviamo sullo stesso pianeta e che ogni scelta, ogni stile di vita ha una ricaduta lontana. Regolare i nostri comportamenti su una simile consapevolezza è un piccolo atto di pace reale. Perché questo è il punto: non c?è situazione della storia che renda impossibile rispondere alla domanda da cui siamo partiti. Non ci sono alibi, come aveva indicato con chiarezza profetica Alex Langer. La pace non è mai fanatica: non chiede agli uomini l?impossibile (ed è forse quello che i pacifisti nostrani non hanno capito), non teme il compromesso, chiede sempre un sano realismo. Proprio per questo la pace comincia da vicino: ha bisogno – diceva Langer – di «essere resa visibile per essere creduta». Ecco, la visibilità della pace è cosa che ci compete in pieno. Compete la nostra intelligenza e la nostra capacità di accoglienza e di comprensione del reale. Allora si può indicare dov?è finita la pace. E soprattutto che la pace non è finita.


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