Non profit
La parola /Taxi
Laccordo alla fine è arrivato. E tutti sono contenti. Ma quanto ci vorrà per arrivare a far capire agli italiani che il vero lusso non è il taxi ma lauto privata?
di Alter Ego
Per i celoduristi del taxi «è andata benissimo». Ma anche per il ministro Pierluigi Bersani, che proprio un morbido non è, si tratta di «un pareggio che mi soddisfa molto». Così, dopo dieci giorni in cui il paese invece che con lo sciopero di una delle categorie più protette sembrava in stato di guerra civile, l?accordo fra governo e sindacati sul decreto del ministro dello Sviluppo economico. Bandi straordinari e doppia targa – anche se limitate ad alcune ipotesi – allungamento dei turni, permessi ?estivi? e tariffe fisse sui percorsi più lunghi per evitare le truffe. Il governo rimuove così il contestatissimo cumulo delle licenze, ma aziona un pacchetto di norme che nell?insieme aumenterà il numero di taxi in circolazione.
Le cose, comunque, sono più semplici e più difficili, come sempre. Più semplici perché qualunque equilibrismo pensi di attuare il governo, le liberalizzazioni (che Berlusconi e i suoi quattro sciagurati compagni di viaggio hanno clamorosamente mancato, ricevendo la giusta mercede) sono un passaggio inevitabile per liberare il mercato. Più difficile perché l?Italia delle gabelle e delle corporazioni, dei furbi e dei fessi, dei guelfi e dei ghibellini, di chi frega il prossimo e di riffa, ma soprattutto di raffa, istituzionalizza i privilegi (do you remember le intercettazioni della signora Fini sulla sanità privata?), ogni servizio pubblico tipo taxi è sempre percepito e gestito come un privilegio, un lusso, uno status. Mentre in paesi democratici e meno di altre parti del mondo usa il taxi solo chi non può permettersi l?auto privata o chi ha abbastanza cultura, e mezzi, per capire che non usarla è il vero lusso.
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