Formazione

Leucemie secondarie: lanciato il primo network europeo

L'annuncio al Congresso internazionale sulle leucemie secondarie che si è svolto oggi all'’Università Cattolica di Roma. Si tratta di una rete di 24 centri in 15 nazioni, coordinata dall’Istituto di

di Redazione

Una rete europea per lo studio e la cura delle leucemie secondarie. È questo il progetto lanciato dal professor Giuseppe Leone, Direttore dell?Istituto di Ematologia dell?Università Cattolica di Roma, a conclusione del Congresso internazionale su “Leucemie secondarie e leucemogenesi” che si è svolto oggi presso il Centro Congressi dell?Ateneo del Sacro Cuore. Le leucemie mieloidi acute dovute alle terapie antitumorali (chemio e radio terapie) rappresentano circa il 10-20% di tutti i nuovi casi di leucemie mieloidi acute. L?obiettivo di questa rete, costituita da 24 centri clinici distribuiti in 15 nazioni e coordinata dall?Istituto di Ematologia della Cattolica, è di condurre gli studi epidemiologici e genetici nelle diverse nazioni aderenti al progetto prendendo in considerazione sia i fattori ambientali sia i fattori relativi agli stili di vita. L?identificazione dei fattori di rischio per le leucemie secondarie acute mieloidi potrà comportare una riduzione dei tumori ambientali e favorire lo sviluppo di terapie guidate farmaco-geneticamente per evitare l?insorgenza delle neoplasie secondarie. Il network si chiamerà Seleugen (acronimo dall?inglese traducibile con “suscettibilità alle leucemie secondarie: interazioni tra fattori ambientali e genetici”), è coordinato dall?Istituto di Ematologia della Cattolica di Roma e si propone di identificare i fattori di rischio ambientali e genetici delle leucemie secondarie per ridurre le neoplasie ambientali e sviluppare terapie farmacologiche dei tumori geneticamente guidate, cioè che prevedano l?adozione di molecole sulla base delle specifiche caratteristiche genetiche che il paziente presenta e che sono responsabili del possibile sviluppo, in futuro, delle leucemie secondarie. Le leucemie secondarie differiscono dalle leucemie de novo per il fatto che si conoscono le cause che le determinano: esposizione alle radiazioni ionizzanti (raggi x e radioterapia, materiale radioattivo), ai derivati del benzolo e ai farmaci antiblastici utilizzati per la terapia antitumorale. Una percentuale tra l?1 e il 2% dei pazienti che hanno fatto terapia per curare il proprio tumore, in un periodo di tempo che oscilla tra i 2 e gli 8 anni, sviluppa leucemie secondarie. La ragione del loro aumento sta nel fatto che oggi è cresciuto il numero dei pazienti in vita dopo il trattamento per il tumore, sia con radioterapia sia con farmaci antiblastici. “Sino ad oggi sono stati compiuti numerosi tentativi di identificare i fattori ambientali e genetici che predispongono l?insorgenza delle leucemie secondarie”, ha detto il Professor Leone, “ma si è trattato quasi sempre di studi limitati nei numeri e nelle aree geografiche prese in esame, perché frequentemente condotti da un solo centro clinico”. A ciò va aggiunta la constatazione che le leucemie secondarie sono frequentemente escluse dai grandi trials multicentrici in ragione del fatto che differiscono dalle leucemie de novo per le loro caratteristiche biologiche e cliniche che ne condizionano la suscettibilità alle terapie. “Anche quando le leucemie secondarie sono prese in considerazione nelle sperimentazioni cliniche”, ha proseguito l?ematologo della Cattolica, “i dati raccolti sono a tal punto insufficienti che la reale incidenza di queste neoplasie secondarie non è nota”. Le informazioni disponibili sono frammentate e frutto dell?impegno di pochi centri, in modo particolare sul fronte genetico. Gli studi epidemiologici sono utili solo quando collazionano dati bio-molecolari dei pazienti, i quali presentano un polimorfismo genetico negli enzimi che metabolizzano i farmaci che risulta o nell? impossibilità di detossificare i farmaci antiblastici o nell?inefficace abilità di far fronte ai danni genetici indotti dai farmaci antitumorali. “L?identificazione di questo poliformismo genetico ad alto rischio (cioè l?identificazione dei fattori di rischio per le leucemie secondarie) e l?uso di terapie appropriate, cioè adottate sulla base della presenza di queste caratteristiche specifiche nel paziente, potranno migliorare gli esiti della terapia antitumorale e ridurre il rischio d?insorgenza delle leucemie dovute alle terepie anti-cancro”, ha concluso il prof Leone. Queste le principali linee di ricerca del network europeo per definire le terapie più efficaci: il monitoraggio su larga scala degli aspetti clinici e genetici delle popolazioni ad alto rischio quali ad esempio soggetti sottoposti a terapie citotossiche per tumori e soggetti esposti alle radiazioni; l?identificazione e l?applicazione di bio-markers della leucemogenesi con l?obiettivo di quantificare e prevedere il rischio, potendo così riconoscere in anticipo i pazienti suscettibili di sviluppare gli effetti leucemogenici indotti dalla chemioterapia, sia per ragioni genetiche che acquisite, al fine di modificare per tempo la loro terapia anti-tumorale; l?individuazione e la caratterizzazione dei danni a carico del DNA; l?analisi della struttura molecolare delle lesioni molecolari indotte, nonché l?identificazione delle conseguenze funzionali di questi cambiamenti: aspetto questo che potrebbe fornire informazioni importanti sulla patogenesi delle leucemie secondarie e, potenzialmente, andare a costituire la base per interventi terapeutici innovativi.


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