Formazione
IL CARCERE COME IL TITANIC
Entro fine luglio il provvedimento in Aula. Stavolta non si scherza
Èlo spirito di sopravvivenza. «Siamo considerati bestie, ma nessuno essere umano si farebbe seppellire vivo senza reagire». Quello di Vittorio Antonini, portavoce dell?associazione Papillon-Rebibbia, non è una minaccia. È una supplica. Gli fa eco Claudio Messina, nuovo presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia: «Adesso che il dibattito sull?amnistia si è rimesso in moto, qualche risultato bisogna ottenerlo». Altrimenti? «Prepariamoci a vivere un?estate allucinante». Abbassare la saracinesca su un provvedimento annunciato da 6 anni e mai realizzato, «significherebbe incrementare le proteste, le violenze, ma soprattutto gli atti di autolesionismo da parte dei detenuti ». Già oggi, e lo ha recentemente ricordato il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, in cella il tasso dei suicidi è 19 volte più alto che fuori. Non si sorprende Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze. «In Toscana su 4mila detenuti, si registrano 900 casi critici ogni semestre». E conclude: «Se il dibattito sulla clemenza si arenasse ancora una volta nelle sabbie mobili, saremmo complici di un disastro occulto».
C?erano una volta gli anni 80
Le rivolte in stile anni 80, quando negli istituti si registravano veri e propri atti di guerriglia, sono pezzi di storia che non ritorneranno. Da questo punto di vista, tutto sotto controllo. «Al massimo saliremo sui tetti», annuncia Antonini. Ma forse nemmeno. «Non lo faranno», ribatte Corleone, «non ci sono più le condizioni, oggi il carcere è il luogo della debolezza ». Nessuna prova di forza, «tutt?al più si moltiplicheranno i casi di persone che si tagliano o ingoiano qualche ferro». La pensa così anche Giuliano Pisapia, responsabile Giustizia di Rifondazione comunista: «Il carcere è la disillusione, mi preoccupa molto di più l?autolesionismo che la violenza verso altre persone». Gloria Manzelli, direttrice di San Vittore a Milano (1.560 detenuti per una capienza di mille posti), infatti si dice sicura che «il buon senso prevarrà». Il perché è presto detto: «Nessuno metterebbe a repentaglio una possibile liberazione anticipata». Per chi è disposto a tutto non resta quindi che sfogare la rabbia sul proprio corpo. Qualche miccia si è già accesa.
Indulto sì, ma per davvero
Napoli, Poggioreale, lettera dei detenuti: «Continuiamo lo sciopero pacifico per le condizioni in cui viviamo in questo stabilimento. Sappiamo che dobbiamo espiare la nostra pena, ma non possiamo espiarla come bestie». Segue un elenco in 20 punti delle pene ?accessorie?, mai comminate da alcun tribunale. Il primo punto recita: «In una stanza di capienza di quattro detenuti ce ne sono nove». Questa invece la chiusura del lungo documento: «Vi siete mai chiesti perché si uccidono tanti detenuti? Non credo, perché bisognerebbe stare in questo inferno per capirlo. Noi possiamo dirvi che chi si uccide ha smesso di soffrire, perché viviamo da bestie. Sicuramente andremo in paradiso, visto che noi all?inferno già ci siamo, siamo a Poggioreale». Casa circondariale di Cremona. Dal sito della Caritas locale: «Qui dentro ci sono 146 detenuti in grave situazione di indigenza (8,9% in più rispetto al 2004). Mancano i soldi per l?acquisto di acqua minerale (il carcere si trova alla fine della rete idrica cittadina e l?acqua del rubinetto, pur dichiarata potabile, giunge sporca e carica di sedimenti), di farmaci, per le telefonate e la soddisfazione di altri bisogni primari». Brissogne, Val d?Aosta. La quasi totalità dei 270 detenuti da giorni si sta astenendo dal vitto. «Lo fanno», spiega Piero Squarzino, presidente dell?Avvc- Associazione valdostana volontariato carcerario, «per sollecitare il Parlamento a mettere fine a questa fase di promesse fatte e mai mantenute». Una supplica che fa sua anche Donato Capece, segretario del Sappe, uno dei sindacati più rappresentativi della polizia penitenziaria: «Siamo molto preoccupati. Clemenza subito. Soprattutto per ragioni di sicurezza». «Nessun inganno però», avverte Antonini. Un indulto di tre anni consentirebbe l?uscita di 12mila detenuti: è questa ad oggi l?ipotesi più accreditata. «Va bene, a patto che non sia limitata ai non recidivi, altrimenti perderebbe l?80% della sua efficacia». E il carcere affonderebbe come il Titanic. In silenzio.
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