Cultura

MIM Storia delle politiche italiane sulla immigrazione

Intervento di Bruno Mioli, Direttore settore Immigrazione – Fondazione Migrantes per il Meeting Internazionale sulle Migrazioni

di Giuseppe Lanzi

Loreto (AN) Si era allo spirare del 1995, ormai alle porte del 1996, quando mi fu chiesto di fare il punto sulla normativa italiana in fatto di immigrazione; mi uscì dalla penna l?articolo: ?Mare mosso, anzi agitato?, apparso su ?Servizio Migranti? e ripreso poco dopo ?Migration Société?. Si può ben dire che in quei mesi il tema migratorio fosse in forte ebollizione: mesi che facevano da spartiacque tra il decennio che portava indietro fino al 1986 quando apparve in Italia la prima legge sull?immigrazione, e l?altro decennio che si è appena concluso, portando forse all?archiviazione l?ultimo intervento legislativo, quello della Bossi-Fini.

A partire dal lontano 1986
E? inutile guardare a monte del 1986, perché si dovrebbe retrocedere fino al 1931 quando fu emanato il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, di stampo fascista, che riservavano alcuni articoli allo ?straniero?, visto appunto sotto il profilo dell?ordine pubblico e pertanto come potenziale problema e pericolo per il nostro vivere civile.
Anche nel primo dopoguerra non si cambiò visione sullo straniero, nemmeno in quel decennio che parte dal 1975, quando il flusso degli emigrati italiani verso l?estero, diventato ormai un fenomeno fisiologico e non più patologico, ha ceduto il passo al crescente flusso di immigrati terzomondiali verso l?Italia, un flusso di irregolari – clandestini, appunto perché non c?era uno straccio di legge che se ne facesse carico. Costoro non potevano lavorare, per la legge non potevano nemmeno esistere perché, mancando appunto una legge per loro, erano una massa di illegali, ignorati dalle pubbliche istituzioni e guardati con un occhio tra l?incuriosito e il diffidente dalla gente comune, per la quale non c?era altro termine per definirli che ?marocchino? o ?vu? cumprà?.

Nel 1986 la 943/86, la ?Legge Foschi? rompe il silenzio: uno spezzone di legge, perché guarda agli stranieri come ?lavoratori extracomunitari? e si limita pertanto a disciplinare quanto attiene al lavoro. Non meno monca e provvisoria la 39/90, la ?Legge Martelli?, del 1990, legge provvida tuttavia, perché riempie diversi vuoti legislativi e detta norme per i richiedesti asilo e rifugiati o per la programmazione annuale dei flussi d?ingresso per lavoro.
Dunque passi in avanti. Ma di anno in anno si fa sempre più sentire l?inadeguatezza di queste leggi stralcio e si fa sempre più acuta l?esigenza di una legge quadro o organica che, secondo il dettato dell?articolo 10, commi 2 e 3, definisca la condizione giuridica dello straniero sotto tutti gli aspetti, precisando con chiarezza diritti e doveri, dall?ingresso fino alla definitiva integrazione degli stranieri nella società italiana.

Dopo il 1990 ci troviamo di fronte ad anni piuttosto duri, pieni di tensione, di proposte e controproposte, che coinvolgono l?opinione pubblica e i media, ambedue in gran parte manovrati e spesso strumentalizzati da correnti ideologiche e partitiche. Sono anni di incertezze politiche, di cambiamento di maggioranza e poi, di un ondeggiare, almeno per quanto riguarda l?immigrazione, tra destra e sinistra con tentativi di equilibrio in posizioni di centro.

Non mancarono tentativi di notevole portata: nel settembre 1993 l?allora Ministro degli Affari Sociali, Fernanda Contri (attualmente giudice della Corte Costituzionale) costituiva una ?Commissione di studio per una legge organica sulla condizione giuridica dello straniero?, commissione composta da esperti e da funzionari dei ministeri interessati. Ne risultò un poderoso lavoro, costituito da otto documenti di sintesi, in base ai quali un comitato ristretto, a marce forzate, elaborò un ampio progetto di legge in 174 articoli, che nell?aprile dell?anno seguente fu consegnato all?allora Presidente del Consiglio, G. Amato. Ormai si era però ormai allo spirare della legislatura e il presidente non fece che deporlo nel cassetto. Circolava allora la battuta: il cassetto è a metà strada fra il tavolo di lavoro e il cestino della carta da buttare.

Pensò il nuovo Presidente del Consiglio nel 1994, Silvio Berlusconi, a buttare quel progetto nel cestino e a istituire un ?Comitato interministeriale? per il varo di una nuova normativa assai restrittiva. Ma a causa della breve durata del Governo tutto cadde nel nulla.

Nel 1995 il dibattito tornò ad essere incandescente, con una maggioranza politica non più salda e compatta: diverse proposte di legge furono presentate alla Commissione Affari Costituzionali della Camera e fu incaricato un uomo di destra, l?on. Nespoli, a redigere il ?testo base?, che però continuava a rimanere stagnante in Commissione. Non stagnante però era la posizione della Lega che in piazza proponeva ?le pallottole di gomma? contro gli immigrati, le guardie nazionali, le ronde in camicia verde, il prelievo delle impronte dei piedi ed altro, mentre in parlamento poneva il Governo alle strette: per il disegno di legge concordato, subito l?approvazione, e non attraverso il lungo iter parlamentare, ma per la scorciatoia di un decreto-legge capace di diventare operativo entro pochi giorni. Era allora Presidente del Consiglio l’on. Dini che si sentì ricattare così: o subito un decreto-legge o non voteremo la finanziaria. Dini cedette con un ?sì? che di fatto si trasformò in un ?nì?. Il decreto fu emanato e, data la sua vita breve di un solo bimestre, fu reiterato per cinque volte, con l?aggiunta però, nonostante le resistenze dei proponenti il decreto, di una regolarizzazione: mentre le disposizioni di rigore non divennero mai esecutive, la regolarizzazione ebbe corso e portò a sanare oltre 150.000 situazioni irregolari.

Ci si trascinò in questo modo per buona parte del 1995 e 1996, finché subentrò a Capo del Governo Prodi che già nell?agosto 1996 si era affrettato a costituire una nuova Commissione interministeriale col mandato di redigere in tempi brevi un disegno di legge organica. Il lavoro fu ultimato nel gennaio 1997 e presentato alla Camera dei deputati nel mese successivo. L?iter per l?approvazione non trovò la strada spianata, data la forte opposizione della destra e il cumulo di emendamenti avanzati da ambedue gli schieramenti. Ma al Governo premeva portare in porto la legge anche perché questa era presupposto indispensabile perché l?Italia potesse entrare nel sistema Schengen. La sua approvazione come legge 40/98 (la Turco-Napolitano) si ebbe, attraverso procedimenti accelerati, il 19 febbraio 1998.

La Legge Turco-Napolitano

La nuova normativa sull?immigrazione, che merita il nome di legge organica, è stata ora assorbita nel Testo Unico n. 286/98. Tutto sommato è apparsa come qualcosa di veramente nuovo, una legge apprezzabile, tanto più quando è stata integrata, veramente con un po? di ritardo, dal ?regolamento di attuazione? e, sotto certi aspetti, anche dal ?Documento Programmatico Triennale? voluto dalla legge stessa. Non mancano le ombre, ma si può dire che prevale la luce; una legge che non si connota come restrittiva a salvaguardia dell?ordine pubblico, ma ispirata a principi solidaristici e ad una visione sostanzialmente positiva dell?immigrazione..

Tra le ombre va segnalata l?insufficiente tutela giurisdizionale nel caso di espulsioni e la disciplina sui flussi di ingresso piuttosto confusa; di segno fortemente negativo è stata pure la decisione di radiare dal testo l?articolo che prevedeva il voto amministrativo per gli immigrati e la scelta di non approvare il disegno di legge sull?asilo, che dopo tanti dibattiti aveva ormai preso la forma definitiva.

Fra gli aspetti più positivi va segnalato il largo spazio riservato alle politiche di integrazione: la tutela dell?unità familiare e dei minori, l?istruzione obbligatoria per tutti anche per gli irregolari, l?educazione interculturale, l?assistenza sanitaria ugualmente per tutti, l?accesso all?alloggio e ai centri di accoglienza, il fondo nazionale per le politiche migratorie, la repressione delle discriminazioni razziste e xenofobe. Deciso apprezzamento meritano pure il permesso di soggiorno per protezione sociale contro la tratta, la carta di soggiorno, la possibilità di ingresso per ricerca di lavoro grazie a sponsorizzazione.

La Bossi-Fini

Cambiata legislatura e maggioranza nel 2001, si è tornati in alto mare. La destra, capeggiata dalla Lega, è stata di parola: aveva promesso in campagna elettorale il cambiamento della legge tra i primi provvedimenti e il cambiamento è repentinamente avvenuto con l?approvazione nel luglio 2002 della nuova legge n. 189/02. In apparenza si tratta di modifica e non di abrogazione del precedente Testo Unico. E difatti la maggior parte degli articoli, quelli particolarmente che riguardano l?integrazione, rimane inalterata. Cambiano notevolmente le politiche degli ingressi, delle espulsioni, del rapporto di lavoro. E non è poco: come alcune gocce di inchiostro infuse in una brocca d?acqua limpida sono sufficienti a intorbidire il tutto, così alcuni dispositivi della nuova legge vengono ad accentuare la precarietà dello straniero anche regolarmente residente, a intaccare la certezza del diritto. Si è parlato di ?piccoli ritocchi?, che però tanti piccoli non sono, visto che hanno cambiato la filosofia della legge.

Questi ad esempio: la durata del permesso di soggiorno rinnovato non può andare oltre i due anni; la carta di soggiorno viene rilasciata solo dopo sei anni di permanenza continuata; il tempo utile per trovarsi un nuovo lavoro non è più di un anno ma di sei mesi? Aggiungiamo poi l?invenzione del ?contratto di soggiorno?, l?abolizione della sponsorizzazione, restrizioni e complicazioni burocratiche per i ricongiungimenti familiari, rigorosità almeno declamata delle espulsioni e prolungamento della permanenza nei centri di permanenza temporanea, la complicata e delicatissima disciplina sul diritto di asilo tutta concentrata in due articoli. Non parliamo poi del complicarsi delle procedure amministrative e burocratiche al limite del collasso.
Non per nulla lo stesso Presidente della CEI, in fase già avanzata di discussione del progetto di legge, metteva in guardia a non voltare le spalle a quell? ?approccio solidale e personalistico, per il quale, pur senza ignorare i pericoli, l?altro, anche quando viene da lontano, è in primo luogo prossimo, e non avversario minaccioso?. In altra occasione il Cardinale Camillo Ruini aveva ricordato che ?resta indispensabile e preziosa l?opera di solidarietà e di volontariato, alla quale le comunità e organizzazioni ecclesiali hanno portato e continueranno a portare tutto il loro contributo?: non soltanto nel campo assistenziale, ma entrando nel vivo del dibattito legislativo come si è verificato, spesso con instancabile tenacia e in atteggiamento sia critico di denuncia che propositivo, nei vent?anni di avventurosa storia che abbiamo a grandi linee tracciato.

Non tutto il male viene per nuocere

Senza voler demonizzare l?ultima legge, né canonizzare ad oltranza quella precedente, si constata che da quanto si è sperimentato come negativo si possono trarre utili lezioni. Un esempio: l?impasse burocratico cui si è accennato, che ha prodotto, tra l?altro, le estenuanti attese e le interminabili code davanti alla questura con incalcolabili svantaggi non solo per gli stranieri, sta portando anche i politici a una riflessione saggia: perché affidare tutto alle questure e non servirsi invece di soggetti intermedi, come i comuni e i patronati? Perché non affidarsi finalmente al sistema informatico? Lo si poteva fare già da tempo. Comunque meglio tardi che mai.

Altro esempio: ogni nuovo intervento legislativo è stato accompagnato, da una sanatoria; per cinque volte in vent?anni si è ricorsi a questo riparo, consentendo che circa un milione e mezzo di lavoratori diventasse regolare per soggiorno e per lavoro; il che vuol dire che tre quarti degli stranieri che ora soggiornano e lavorano regolarmente provengono da una previa condizione di irregolarità. E? d?obbligo concludere che la troppo rigidità nelle politiche degli ingressi ha spinto tanti immigrati ad avventure illegali e rischiose; chiuse le porte, si è entrati ugualmente scavalcando il muro. Non dice niente tutto questo a chi è chiamato a gestire d?ora in poi le politiche migratorie? La storia, almeno in questo caso, potrebbe essere maestra di vita.

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