Non profit

Chi sono i nuovi new global

Sarà un G8 a marcia indietro? A scorrere l’agenda dei temi su cui gli otto grandi parleranno a metà luglio a San Pietroburgo, c’è poco da sperare.

di Giuseppe Frangi

Sarà un G8 a marcia indietro? A scorrere l?agenda dei temi su cui gli otto grandi parleranno a metà luglio a San Pietroburgo, c?è poco da sperare. Rispetto alle attese suscitate, pur tra mille distinguo, lo scorso anno a Gleneagles, c?è la sensazione di un arroccamento sulle priorità dei grandi: in cima troviamo la sicurezza e il fantasma dell?aviaria (a proposito, a che punto è? I giornali di mezzo mondo avevano seminato il panico con la contabilità quotidiana dei volatili morti: ora sembra tutto svanito nel nulla. Fateci sapere?). La cosa non è andata giù al grande teorico del dialogo con i potenti, Bono Vox, il quale ha annunciato che se le cose andranno avanti (anzi, indietro) così, l?anno prossimo, al vertice in Germania, cambierà musica: pochi concerti e molta piazza. Ma la provocazione di Bono ci porta diritti su una questione che ci deve stare ancora più a cuore dell?agenda dei potenti: cioè la coscienza e la capacità di mobilitazione della società civile sul fronte di una globalizzazione più giusta. Inutile nascondersi che l?attenzione su questi temi si è affievolita; che la capacità di proposta e di contrapposizione è in una fase di stanca. Cinque anni fa, alla vigilia di Genova, centinaia di migliaia di persone avevano portato alla ribalta pubblica uno slogan emozionante e suggestivo: «Un altro mondo è possibile». Che cosa faceva sì che quell?idea ambiziosa non venisse recepita come utopia? Che fosse qualcosa di diverso da un sogno? Semplice: a rendere vero quello slogan era innanzitutto il vissuto di chi era sceso per le strade. Era la pratica di stili di vita diversi, portati all?attenzione del grande pubblico. Il mondo diverso insomma era possibile perché concretamente aveva cominciato ad esserlo nella vita quotidiana, nel desiderio di giustizia, nella capacità di rapporti e di dialogo di tante persone. Questo era tanto vero e tanto evidente da conquistare anche la convinzione profetica di un grande poeta in odor di Nobel come il vecchio Mario Luzi. Oggi, quindi, è giusto chiedersi a che punto siamo. Capire quanta strada abbia fatto quella consapevolezza. E quali pezzi di un mondo diverso siano stati costruiti. Se guardiamo con onestà al cammino di questi anni recenti non possiamo non ammettere che quell?esperienza si è divisa in mille rivoli, e che molti di quei rivoli oggi sono con ogni probabilità in secca. Le ragioni restano intatte, ma si è persa l?energia per contaminare il mondo con quelle stesse ragioni. Le bandiere ci sono, ma non sventolano più dai balconi. Questo scollamento ci sembra un fenomeno abbastanza inedito: in genere accadeva che il venir meno delle ragioni determinasse il declino dei movimenti. Se oggi invece la dinamica è andata in direzione contraria deve essere accaduto qualcosa che né gli osservatori né gli stessi protagonisti avevano previsto. è accaduto che le ragioni di ?un mondo diverso? hanno contaminato grandi realtà e grandi organizzazioni sociali (il caso della Coldiretti in questo senso è davvero esemplare); sono entrate con più frequenza di quanto si potesse immaginare nei business plan di aziende che hanno fatto della responsabilità un fattore strategico e non di marketing. Quelle ragioni sono vive tanto da diventare fattore non di un impoverimento da decrescita ma di una ricchezza equilibrata e sostenibile. Forse è un destino poco mediatico e poco fotogenico. Ma certo molto affidabile, per noi. E per quella grande parte di mondo che aspetta da noi uno sviluppo finalmente diverso.


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