Volontariato

MIGRANTI, UN POPOLO FUORI DAL LIMBO

IMMIGRAZIONE. A Loreto il Meeting internazionale degli Scalabriniani Uscire dall’ottica dell’emergenza e dare finalmente peso politico al fenomeno - di Beniamino Rossi -

di Giuseppe Lanzi

Il Meeting internazionale delle migrazioni di Loreto giunge alla sua nona edizione e vuole entrare nel vivo delle politiche migratorie, nella convinzione che si debba operare un ripensamento davanti alle lacune che tali politiche continuano a perpetuare, nonché ai fallimenti ai quali hanno portato. Nello stesso tempo, c?è bisogno di pensare a quelle politiche non come un intervento legislativo settoriale, ma come parte integrante della politica quotidiana per la costruzione di una società coesa e per la realizzazione di una vera convivenza in cui i migranti siano anch?essi i protagonisti. Un popolo nel limbo Il ?popolo dei migranti stabili? costituisce oggi in Europa una ?minoranza? di circa 30 milioni di persone: cioè il 6% degli abitanti del vecchio continente. Anche se le percentuali nei vari paesi risultano alquanto diversificate, perfino i nuovi paesi membri dell?Unione iniziano a trasformarsi in paesi di immigrazione. Le società europee, nessuna esclusa, sono fortemente segnate dalla presenza dei migranti nel loro tessuto produttivo, sociale e culturale: una presenza diventata ?strutturale? in tutti i paesi dell?Unione. Tuttavia, i migranti sono collocati e rimangono in una specie di ?limbo? sociale, culturale e politico, senza nessuna consistenza e senza ?peso politico? nella società. In effetti, le politiche migratorie non hanno recepito le trasformazioni che si sono operate all?interno delle società europee: continuano a ?governare? l?immigrazione come un settore particolare della società (settore per altro sostanzialmente portatore di problemi e bisognosi di interventi di controllo), che non è (e probabilmente non deve essere) parte integrante della società stessa. La ?democrazia? più che una forma prefabbricata e ideologica di coinvolgimento e partecipazione al governo della società, è un processo in continua evoluzione ed adattamento: ogni forma di democrazia rimane sempre ?incompiuta? e, quindi, perfettibile. La ?democrazia politica?, nata concettualmente nel secolo dei lumi, ha attraversato vicissitudini e trasformazioni nei secoli successivi: ha dovuto diventare una conquista culturale diffusa, superando i limiti del censo, dell?istruzione, del sesso, per non lasciarsi rinchiudere in forme oligarchiche ed elitarie o lasciarsi imbrigliare e diluire nella partitocrazia. Nonostante due secoli di vita, è ancora in evoluzione e resta sempre perfettibile. La ?democrazia sociale?, nata con la rivoluzione industriale nel XIX secolo, con i grandi movimenti popolari ed operai, rimane ancora una grande incompiuta: lo ?Stato sociale? è ancora molto lontano dall?essere raggiunto ed è, comunque, da perseguire nel continuo adattamento alle rivoluzioni ed evoluzioni sociali ed economiche, non ultimo il fenomeno della globalizzazione, che si susseguono nella società. Quelle parole di Napolitano Basti ricordare l?appello appassionato del presidente Napolitano nel suo discorso di insediamento: «Il valore del lavoro, come base della Repubblica democratica, chiama più che mai al riconoscimento concreto del diritto al lavoro, ancora lontano dal realizzarsi per tutti, e alla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, e, dunque, anche nelle forme ora esposte alla precarietà ed alla mancanza di garanzie. (?) Sono le mie complesse esperienze politiche e di vita che mi inducono ad associare con forza il problema del rilancio della nostra economia a quello della giustizia sociale, della lotta contro le accresciute disuguaglianze e le nuove emarginazioni e povertà, dell?impegno più conseguente per elevare l?occupazione e il livello di attività della popolazione, il problema non eludibile del miglioramento delle condizioni dei lavoratori e dei pensionati e di una rinnovata garanzia della dignità e della sicurezza del lavoro. C?è bisogno di più giustizia e coesione sociale». Quel mito dell?identità In una società sempre più pluralistica, basandosi sulle acquisizioni moderne dei diritti della persona umana (i diritti civili e sociali), si è chiamati ad entrare in una nuova fase delle democrazia: la ?democrazia culturale? o ?democrazia delle culture?. Il mito dell?unità della ?identità nazionale? e di una monocultura nazionale che, nella costruzione dello Stato – Nazione del XIX secolo, hanno determinato i rapporti tra maggioranze e minoranze, tra gruppi culturali e religiosi diversi, è definitivamente tramontato nella realtà delle nostre società. Tuttavia, esso continua a permanere sia nell?immaginario collettivo che nella legislazione. In effetti, il ?popolo dei migranti?, proprio in quanto minoranza e per altro frammentata, è di fatto relegato in una situazione di emarginazione: non è per nulla considerato come componente strutturale della vita sociale, culturale e politica delle società. Una politica non di settore Probabilmente, soltanto se riusciamo, prima di tutto, a riconoscere ai migranti il loro ?peso politico?, sapremo promuovere ?una democrazia di tutti e per tutti?, senza escludere dal processo democratico una parte consistente e vitale della società, costituita dai migranti. Il presidente Napolitano, ricordando i diritti inviolabili dell?uomo e il principio di uguaglianza sottolineava ancora che «essi non possono non riconoscersi a uomini e donne che entrano a far parte, da immigrati, della nostra comunità nazionale, contribuendo alla sua prosperità». Il riconoscimento che i migranti fanno parte della ?comunità nazionale? è una conquista culturale tutta ancora da promuovere e costruire. Il secondo passo, probabilmente, è quello di operare un passaggio culturale nella politica: passare da ?politiche speciali? o settoriali da mettere in atto per ?governare? un fenomeno visto come una specie di ?patologia sociale?, ad una visione della politica come gestione delle conflittualità e delle diversità di cui la nostra società stessa è composta, per promuovere una società coesa e capace di convivenza. Le diversità sociali, etniche, culturali e religiose per se stesse possono condurre alla frantumazione e sbriciolamento di una società come quella europea che appare sempre più complessa e diversificata, pluralistica e pluriculturale. La politica ha come compito di gestire, mettere in comunicazione e in relazione, le diversità, superando la tentazione dello ?scontro tra le civiltà?, e promuovendo il dialogo tra le culture. La politica ?normale? e quotidiana non dovrebbe sostenere gli interessi di settori della società, ma ha sempre di più il compito di inglobare le problematiche migratorie (finora trattate in modo settoriale) tra le difficoltà ma anche tra le opportunità globali di tutta la società.


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