Volontariato

La specializzazione può attendere

Guida ai corsi e ai master 2006/07: Lavorare nel non profit, quale percorso di studi?

di Carlotta Jesi

«Se avessimo chiamato master le lauree specialistiche, sarebbe stato tutto più semplice: il 3+2+1 in non profit, oggi non ha più senso». A bocciare senza appello la formula laurea triennale + laurea specialistica + master, è Carlo Borzaga, preside della facoltà di Economia dell?università di Trento, che per l?anno accademico 2006-2007 ha deciso di chiudere la sua laurea triennale in Economia delle organizzazioni non profit e delle cooperative sociali. Dopo quattro edizioni. Per mancanza di iscritti e per mancanza di senso, spiega il professore.

«Non possiamo continuare a proporre lauree specifiche sul non profit quando 130 crediti su 180 previsti per il triennio sono vincolati all?insegnamento di materie generali e propedeutiche», afferma Borzaga. «Per le materie specifiche resta pochissimo spazio, e chi esce da queste triennali non trova lavoro né nell?economia sociale né in quella di mercato».

Meglio tornare alla classica laurea in Economia e a una buona specialistica in non profit che oggi rende superfluo persino un master nella stessa materia, è il messaggio che Borzaga lancia ai colleghi degli altri atenei. E in un?Italia dove le triennali dedicate a materie sociali continuano a spuntare come funghi – dal monitoraggio di Vita risultano essere più di 100, a fronte di master che invece diminuiscono per l?esaurirsi delle risorse legate al Fondo sociale europeo – il suo messaggio suona piuttosto come una provocazione: riconosciamo di aver sbagliato e non prendiamo in giro gli studenti.

Il primo a raccoglierla, da Bologna, è Stefano Zamagni: «La scelta di un corso di laurea sul sociale è vocazionale, non possiamo pensare che un ragazzo riesca a farla a 19 anni. Chi, a quell?età, opta per una triennale dedicata specificatamente al non profit, spesso lo fa perché non è stato ammesso ad un corso di economia a numero chiuso o perché lo trova conveniente dal punto di vista logistico. Per ripiego, insomma».

Tutto il contrario di ciò che serve agli enti del terzo settore, precisa il professore: «Chi esce da una triennale sa fare cose molte routinarie, mentre l?economia civile oggi ha bisogno di talenti e di profili d?eccellenza. Di laureati con ars combinatoria che sappiano ragionare e lavorare in maniera flessibile. Invece di creare nuove triennali dai nomi accattivanti, alziamo il livello formativo di master e lauree specialistiche in tutti i settori della formazione legata al sociale».

Dall?Alma Mater alla Bocconi di Milano per la reazione di Giorgio Fiorentini, che condivide la critica di Borzaga alle triennali pseudo-specializzanti ma, al tempo stesso, difende l?utilità del suo master in Management delle imprese sociali, delle cooperative e delle aziende non profit, giunto alla decima edizione. «La formula laurea in economia e biennale in non profit o impresa sociale mi sembra una soluzione interessante, però non tiene conto della domanda di formazione di chi ha una laurea in materie umanistiche e di chi già lavora nel terzo settore senza competenze di tipo gestionale. Senza un master verrebbero tagliati fuori dall?alta formazione in non profit. E sarebbe un peccato: perché la legge sull?impresa sociale apre nuovi scenari di occupazione in campi in cui una formazione umanistica si rivela molto utile».

Al di fuori del settore puramente economico, tuttavia, non tutti sono disposti ad archiviare le lauree triennali dedicate a temi sociali. Gianni Vaggi, per esempio, coordinatore del master internazionale in Cooperazione e sviluppo dell?università di Pavia, difende la laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo del suo ateneo. «La questione dei crediti è importante: ma da noi a insegnare materie propedeutiche come l?economia sono docenti specializzati in microcredito e in economia dello sviluppo, la specificità di questi temi passa in maniera trasversale in tutti gli insegnamenti. La triennale, inoltre, è inserita in un percorso studiato per portare lo studente più in alto possibile nella preparazione: dopo i primi tre anni, può scegliere tra due specialistiche, una presso la facoltà di Economia e l?altra a Scienze politiche, e quindi un master di II livello in lingua inglese dove più di metà dei docenti e degli studenti provengono dall?estero. Se un ateneo decide di investire realmente su un tipo di insegnamento, il 3+2+1 ha ancora senso».

Di più: per Vaggi, puntare il più in alto possibile, fino a un master, senza dar retta alle mode del momento, è il consiglio più utile che si possa dare a uno studente. «Nel campo della cooperazione allo sviluppo oggi vanno di moda la prevenzione delle emergenze tipo tsunami. Qualche anno fa, per i fatti politici della Jugoslavia, tutti volevano fare peacekeeping. Attenzione: sono mode passeggere a cui non dare troppa importanza, cercate piuttosto di costruirvi una specializzazione fin dall?inizio: con lingue come l?arabo e il cinese, o sul diritto e sull?economia».

Specializzazione, e con uno sguardo sempre rivolto all?estero, è la parola d?ordine soprattutto nei campi più innovativi del terzo settore. Dove il mestiere s?impara a partire dalla laurea biennale, e viaggiando. «In settori come l?ecologia sociale, in cui l?Italia non ha una grande tradizione, studiare in altri paesi è un imperativo categorico», dichiara Massimo Pugliese, della specialistica in Agroecology lanciata dall?università di Torino.

Triennale o non triennale? Vita s?è posta questa domanda alla vigilia della stesura della guida all?anno accademico 2006-2007, e ha deciso di puntare sulla specializzazione: rispetto alle passate edizioni, abbiamo deciso di approfondire l?analisi dell?offerta formativa su lauree specialistiche e master. Buona lettura.

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