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Commercio equo, ai nastri di partenza una norma ad hoc

SVILUPPO. Una ricerca mette in luce il vuoto normativo

di Redazione

Un settore che fattura quasi 100 milioni di euro l?anno a cui, però, manca un orizzonte normativo di riferimento, che ne riconosca la complessità e la specificità di attore dello sviluppo in campo internazionale. è una delle criticità messe in luce dall?eccezionale indagine sul commercio equo e solidale in Italia, presentata all?università Cattolica di Milano e curata dai professori Gian Paolo Barbetta (Cattolica) e Patrizio Tirelli (Bicocca). La storia giuridica del commercio equo è costellata di occasioni mancate (vedi l?assenza, clamorosa, tra le «materie di particolare valore sociale» elencate dal dlgs sull?impresa sociale) e di norme frammentarie (come la definizione, molto parziale, che ne ha dato il ministero delle Attività produttive per ricomprendere tra le coop ?a mutualità prevalente? quelle che si occupano di commercio equo). Una lacuna normativa che si è trascinata, almeno negli anni passati, «in parte a causa della complessità del settore», riflette Antonella Sciarrone Alibrandi, ordinaria di Diritto dell?economia alla Cattolica di Piacenza, che ha curato la ricerca sotto il profilo giuridico. «Nel commercio equo convivono due aspetti: l?attività commerciale e la cooperazione allo sviluppo. La prima è ovviamente strumentale alla seconda, ma questo dualismo ha fatto sì che il commercio equo fosse considerato troppo ?commerciale? per essere disciplinato nell?ambito del terzo settore e troppo ?da terzo settore? per essere disciplinato in ambito commerciale». Un destino che ora sembra prossimo a cambiare: Agices, Assobotteghe e Transfair Italia hanno annunciato che presenteranno al nuovo Parlamento una proposta di legge elaborata in modo concertato dalle organizzazioni di settore. Il testo, ovviamente, ha come obiettivo di definire giuridicamente, una volta per tutte, il commercio equo e solidale e i soggetti che vi operano. «Anche perché il riconoscimento soggettivo», prosegue la Sciarrone, «sarebbe il primo passo perché lo Stato cominci a sostenere e promuovere il settore». Ma nell?attesa della partenza dell?iter parlamentare, «è possibile fare qualcosa in più», commenta il senatore Nuccio Iovene, membro dell?Aies – Associazione parlamentare per il commercio equo. «Il governo potrebbe ad esempio cominciare a ricomprenderlo tra le materie dell?impresa sociale, con un intervento in sede di revisione del decreto legislativo. C?è la possibilità, inoltre, di prevedere un?Iva agevolata per i prodotti, facendo una concertazione in sede europea». Infine c?è la prospettiva espressa dallo stesso sottosegretario Patrizia Sentinelli, quella di ricondurre il commercio equo nella normativa sulla cooperazione allo sviluppo. «Per prima cosa annoverandolo nella platea dei soggetti che fanno cooperazione», conclude Iovene. Benedetta Verrini


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