Mondo

Cina e Africa a braccetto, con buona pace dell’Occidente…

Dopo il presidente Hu Jintao, è stata la volta del premier Wen Jiabao di rafforzare la cooperazione economica tra Pechino e il continente africano

di Joshua Massarenti

La Cina in Africa non scherza. Tanto che Le Monde ha dedicato alle mosse geopolitiche africane di Pechino un editoriale. Non capita tutti i giorni. Quindi meglio dare un’occhiata attenta per analizzare il significato dell’ultima tournée conclusasi da un alto dirigente politico del Gigante orientale. Non sono passati due mesi dal soggiorno compiuto in terre africane dal presidente Hu Jintao che il suo premier Wen Jiabao ha deciso di rafforzare la cooperazione economica tra Cina e Africa con un lungo viaggio che lo ha portato successivamente in Egitto, Ghana, Congo, Angola, Uganda, Tanzania e Sudafrica. Proprio a Città del Capo si è chiuso il 22 giugno il tour de force, tutto orientato a instaurare una partnership fondata sull'”uguaglianza” (parola di Jiabao). Che cosa significa? E’ bastato a Le Monde riportare alcuni stralci delle dichiarazioni del premier cinese in Sudafrica per dimostrare che la Cina si muove, almeno ufficialmente, senza “alcun interesse egoista”. Anzi, Pechino non intende imporre “nessun tipo di vincolo politico” nei suoi rapporti con i paesi africani. E sta proprio qui il nocciolo della questione. Rivoluzionaria se si pensa che dalla caduta del Muro di Berlino, l’Occidente ha vincolato, almeno ufficialmente (bis repetitae), le politiche di aiuto allo sviluppo al rispetto deri diritti umani, civili e politici da parte dei regimi africani. “Non vogliamo esportare i nostri propri valori e il nostro modello di sviluppo” ha dichiarato il premier Jiabao, promettendo di restringere le esportazioni del tessile cinese in Africa. E qui si apre il capitolo commercio. “La relazione con l’Africa” scrive Le Monde, “ha largamente beneficiato i cinesi che sommergono il continente di prodotti made in china a prezzi stracciati. Gli indicatori di questa penetrazione sono eloquenti: dal 2005, la Cina è il terzo partner commerciale del continente ditero Stati Uniti e Francia; in sei anni, il commercio bilaterale tra Pechino e i paesi africani si è molteplicato per quattro fino a raggiungere 10 miliardi di dollari”. “Più che uno sbocco commerciale, i cinesi cercano nuove fonti di approvigionamento in petrolio e in minerari. La Cina – che non è più autodipendente in petrolio dal 1993 – dipende dall’Africa (Sudan, Nigeria o Angola) per il 25% dei suoi rifornimenti in oro nero”. Sul versante minerario, “la Cina ha investito nelle imprese di estrazione del rame in Zambia e Repubblica democratica del Congo. Di recente, Pechino ha promesso di finanziare centrale termiche in Zimbabwe in scambio di cromo”. Con buona pace delle violazioni dei diritti umani di cui il presidente Mugabe è campione africano assoluto. Che siano cattivi o buoni, le cose non cambiano. La scelta dei partner è tutta dettata dal business. Il Sudafrica ne è un altro esempio eclatante. “Durante l’Apartheid” scrive Le Monde, “allorquando il paese era sotto embaargo, la società nazionale di idrocarburi, la Sasol, ha sviluppato una tecnologia che consentiva di produrre carburante con il carbone”. Oggi, “la Sasol ha firmato un accordo per proseguire i suoi studi di fattibilità per installare in Cina due fabbriche”. Il superattivismo dei cinesi sta seriamente infastidendo paesi occidentali frustrati di vedere Pechino “aggiudicarsi dei mercati” fregandosene altamente “della democrazia, dei diritti umani e della good governance”. E “mentre la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale spingono gli Stati produttori di petrolio a gestire meglio questa manna, la Cina non chiede conti a nessuno”.


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