Non profit

Quante ore hai cotto il sugo?

Ci sono ristoranti in cui un piatto di pasta costa anche 20 euro. Ne vale la pena?

di Paolo Massobrio

Non toccateci la pasta, han fatto sapere da Napoli, dove nel primo week di giugno è stata messa in scena Pastamania. La provocazione a dire il vero era del sottoscritto, che durante un convegno si è chiesto: «Chi lo regge più il menu all?italiana?». Tradotto: quante volte si mangiano ancora antipasti (plurale d?obbligo), primo, secondo e dolce? Inutile nascondercelo: c?è un piatto in più, che i francesi ad esempio non hanno. Il piatto in più è la pasta, che per buona pace di tutti, e soprattutto di questo popolo di ipernutriti quale siamo, va considerato un piatto unico. Detto questo, però, chi rinuncia alla pasta? Io no. A maggior ragione dopo aver mangiato le mezze maniche con il sugo alla coda alla vaccinara che Marco Bistarelli, giovane chef del Portale di Città di Castello (viale De Cesare, 8 – tel. 075.8521356) ha cucinato davanti a tutti introducendo il concetto di moralità della ristorazione. Significa che ci sono ristoranti che si dilettano con dadi e sughi espressi (e quelli lasciamoli perdere) e altri che usano ancora la pazienza del tempo per tirare i sughi lungo ore di cottura. Da questo punto di vista, il primo di pasta diventa un piatto ?unico? nel doppio senso del termine. Unico perché non lascia spazio a un altro secondo di carne e unico perché è esattamente ciò che non riusciamo più a fare a casa e che chiediamo (pagando) al ristorante. Un piatto di pasta a 15 o 20 euro lì allora può avere senso, mentre non lo ha in quei locali dove paghi più il fumo che l?arrosto. Comunque, alla fine, la verità è che la pasta non l?abbandoneremo mai. Anzi, in tempi di crisi, è proprio questo il piatto che non va mollato e che è capace di sposare tutti i prodotti della nostra tradizione, dalle verdure alle carni, ovviamente sotto forma di sughi. Chissà che un mondo che ruota attorno alla pasta e ai pochi euro in tasca non ci costringa a ritornare a un ordine alimentare – come Primo Vercilli scrive nel suo Maramangio – che ci rimetta a posto dopo anni di adipe gratuita, ingrossata grazie alle sirene della pubblicità e a quei bisogni effimeri creati da una società del benessere fin troppo finta. Viva la pasta.


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