Formazione

In giro per torino con la guida di tawfik

Lo scrittore iracheno esplora la città degli immigrati

di Christian Benna

Il tam tam dei manganelli, mille, neri e di plastica, ha bruscamente svegliato una campagna elettorale fin lì mezza addormentata. Li hanno distribuiti nella multietnica San Salvario, a Torino, i giovanotti di Immigrati Basta!, lista civica che non nasconde con giri di parole il proprio progetto politico («la soluzione finale del problema islamico») e i modi con cui arrivarci. Poi c?è stata una pubblica degustazione (promessa) a base di carne di maiale a Porta Palazzo, la zona a più alta concentrazione di immigrati musulmani di Torino. A loro Younis Tawfik, scrittore torinese di origine irachena, ha risposto consegnando segnalibri nei quartieri. Un invito a leggere, nella città che si fregia del titolo di ?capitale mondiale del libro con Roma?, ma soprattutto a riflettere. «A queste provocazioni», dice Tawfik, «i torinesi non han dato retta. Hanno reagito bene, dimostrando di sapere gestire chi soffia sul fuoco delle tensioni. Tant?è che nessuno di questi è uscito vincente dalle urne».

Vita: Neanche lei è stato eletto…
Tawfik: Forse Torino non è ancora pronta ad accogliere uno straniero, seppure con cittadinanza italiana da anni, nel suo consiglio comunale. Tanto meno un uomo che proviene dal mondo della cultura. Le preoccupazioni della gente vanno dritte al portafogli, all?economia, alla sicurezza. Io mi sono impegnato in prima persona senza il supporto dei comitati elettorali. Così si spiegano le sole 471 preferenze.

Vita: C?è stata anche una polemica con la Margherita, che avrebbe voluto qualcuno ?più rappresentativo?. Ovvero non musulmano né di natali extraeuropei?
Tawfik: è stato l?inizio della fine. Un episodio spiacevole che ha spostato l?attenzione su aspetti secondari rispetto alle cose che avevo da dire, alle proposte concrete. Sono stato comunque inserito in lista, ma senza essere sostenuto. Perché, a dirla tutta, con un minimo supporto sarei stato eletto senza difficoltà.

Vita: «Torino, always on the move», era il motto olimpico per una città in trasformazione. Ma con l?integrazione non sembra andare molto bene?
Tawfik: Non sono d?accordo. Nel 1979, quando sono arrivato sotto la Mole, Torino somigliava a una corte reale: snob, fredda e elegante. Oggi è un tripudio di colori. San Salvario, quartiere che sconta ancora tensioni a causa della criminalità, sta diventando il punto di incontro di comunità che vogliono conoscersi, parlarsi e stare insieme. È in fermento anche Porta Palazzo, anche se i contatti sono minori.

Vita: Una rivolta al Cpt di corso Brunelleschi ha ora riaperto il dibattito sulla struttura. Qual è la sua opinione?
Tawfik: È un luogo della vergogna. Un carcere di questo tipo non dovrebbe esserci in una società libera e democratica. Per i clandestini lì rinchiusi, le condizioni sono orribili, specialmente d?estate, costretti a vivere in container soffocanti.

Vita: Se fosse consigliere, cosa farebbe?
Tawfik: Mi batterei per un cambiamento radicale delle condizioni di vita là dentro. Magari prendendo spunto dal modello dell?Olanda, dove è stato trattenuto mio fratello al suo arrivo in Europa. Si tratta sempre di strutture di detenzione provvisoria, ma sono veri e propri centri di accoglienza. E poi proporrei con forza la distribuzione degli stranieri su tutti i quartieri, per evitare il pericolo della ghettizzazione e cercare di armonizzare le comunità. Perché il rischio di derive xenofobiche, come dimostra la lista Immigrati Basta!, è sempre dietro la porta.

Vita: Torino è un luogo in declino: dove i sintomi di rigetto sono più forti?
Tawfik: Niente affatto. La città è in piena fase di rilancio. Certo non mancano le incomprensioni, gli attriti di un?integrazione i cui ingranaggi sono da perfezionare. Ma le difficoltà sono segnali da interpretare in modo positivo: significa che qualcosa si muove davvero.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.