Volontariato

Doppio buio

E’ arrivato un visitatore speciale e imprevisto alla mostra milanese Dialoghi nel buio. Era Franco Bomprezzi. Ed una breve intervista a cura di Antonietta Nembri.

di Franco Bomprezzi

Il social creativo Una mostra che ?non mostra?. In questo che sembra un ossimoro vi è tutto Dialoghi nel buio l?evento in corso a Milano, a Palazzo Reale. A idearla un tedesco, Andreas Heinecke, a portarla in Italia Franco Brambilla e a proseguire nell?idea, dopo la scomparsa di Brambilla, un Comitato che ha trovato tanti alleati. L?obiettivo dichiarato è quello di far comprendere che il buio in cui si muovono i non vedenti non è vuoto, ma pieno. Pieno di odori e rumori, sensazioni tattili e che in un luogo buio i veri ciechi sono quelli che vedono solo uno dei cinque sensi. Heinecke ha fondato una società per promuovere la creatività sociale e nuove opportunità di lavoro e socializzazione per disabili ed emarginati in genere. E’ difficile portare avanti progetti a impatto sociale? No. Lavoriamo con persone con background completamente diverso che non hanno avuto chance di lavorare prima, non hanno esperienza. E il nostro compito è quello di professionalizzarle e fornire loro delle capacità per inserirsi nel processo lavorativo. In questo senso non è facile, non è un processo lineare la crescita delle persone, sono scatti molto lenti. E spesso ti rendi conto che quello che hai fatto è sbagliato e non funziona e devi ripartire da zero, da un?altra prospettiva. Quali difficoltà ha incontrato nel lavorare su progetti per persone disabili? All?inizio è stato molto difficile, perché la buona volontà non basta, invece occorre professionalizzarsi, occorre specializzarsi. Il nostro obiettivo è favorire la creatività. Abbiamo fatto anche altri progetti per consentire alle persone sorde di comunicare e parlare, di ascoltare. Creatività sociale vuol dire anche trovare soluzione per migliorare la vita alle persone in difficoltà o emarginate. Qual è la lezione? Si impara a contare di più sugli altri per interpretare le cose e per orientarsi. Ci si relaziona di più. Alla presentazione della mostra ha raccontato che il punto di partenza è stata la conoscenza con un giovane non vedente. Un incontro che l?ha cambiata? Sono cambiato molto, generalmente siamo legati a un modo di conoscere attraverso la vista, ora sto attento ad altre dimensioni. Per esempio quando cammino per strada sto molto più attento all?aria, al vento ai tessuti, allo spessore e alla materia con cui sono fatte le cose. L?ha definita un?esperienza multi culturale che allarga gli orizzonti… All?improvviso mi sono accorto che le mie certezze non esistevano più. Impari a considerare l?altro, il disabile, sullo stesso piano, lo incontri nel buio e sei cieco come lui. Il mio modo di parlare, di relazionarmi con le persone non funzionavano più in un contesto come quello. Questo modello di lavoroè esportabile anche in Paesi meno evoluti tecnologicamente? Sì. Questi format non sono difficili da esportare. L?importante è riuscire a creare un ambiente buio e allo stesso tempo sicuro: non importa che tu abbia due o cinque altoparlanti, l?importante sono gli uomini e le emozioni che sono in grado di trasmettere. Cerchiamo di creare dei format che non hanno bisogno di tecnologie troppo avanzate, proprio perché possano essere utilizzate ovunque. Antonietta Nembri «Raul, dove sei?». «Sono qui, davanti a te, alla tua destra». «Sì, va bene, adesso arrivo, con calma?». «Certo, Franco, non ti preoccupare, devi girare leggermente a destra, ma se vuoi, con la mano sinistra, puoi sentire il muro, e seguirlo, così non sbagli?». Già, sembra facile. Sono qui, immerso nel buio. Un buio nero, incredibile, mai ?visto?. Ho gli occhi sbarrati, disperatamente aperti alla ricerca di un barlume, anche fioco, di luce. Sto cercando di barare, anche se non lo voglio ammettere. Sono entrato nel percorso di Palazzo Reale con la fiduciosa incoscienza di chi crede di sapere molto sui non vedenti, e su come siano capaci di gestire il senso dell?orientamento. Ho avuto una pessima idea. Io, in carrozzina, voglio provare per un?ora a essere anche cieco, a fare le stesse cose che fanno loro, quelli che fino ad ora ho chiamato ?non vedenti?, e che adesso non so più definire, perché, in quell?ora, il ?vedente? è Raul, Raul Pietrobon, un ragazzo robusto, simpatico, campione di barca a vela. Cieco. Lo avevo visto qualche settimana fa in occasione di un programma tivù, Sporthandicap di Telepiù, mentre davanti alla telecamera parlava tranquillamente di regate, e di boline, e di virate, e di consigli del tattico, e di ordini da eseguire alla perfezione utilizzando i comandi senza sbagliare, con velocità e precisione. Lo avevo ascoltato con attenzione, ma con un po? di sufficienza, convinto, da vedente presuntuoso e ignorante, che in realtà in barca Raul si affidasse certamente agli altri, ai vedenti, facendo finta di navigare, di virare, di armeggiare con i comandi, ma tutto per dimostrare una capacità francamente improbabile, generosa e lodevole, ma poco credibile. Sbagliavo. E il contrappasso è arrivato all?improvviso, duro, implacabile. è lui la mia guida nel percorso di Palazzo Reale, in anteprima, con l?allestimento di Dialogo nel buio ancora in corso. Mi riconosce subito, lui. Dalla voce, ovviamente. «Ciao Franco», e mi tende la mano, dritta e giusta all?altezza della mia, ossia a metà altezza del normale, visto che sono seduto. Fin qui non mi stupisco più di tanto, ne ho conosciuti di ciechi abili e un po? sfrontati nella loro capacità di rapportarsi agli altri. Ma fino ad oggi giocavo in casa, sul mio terreno, quello di vedente. Troppo comodo. Ho avuto la malaugurata idea di suggerire agli organizzatori una crudeltà in più: «Giusto, che bella idea far provare a chi ci vede un percorso nel buio, ma perché non posso farlo anch?io che sono seduto in carrozzina?». Già, perché no? E così, detto fatto, Laura Gorni, direttrice della ?mostra?, mi ha invitato a provare, e mi ha chiesto, ovviamente, di aiutarla a segnalare eventuali difetti del percorso, in modo da renderlo praticabile a tutti, anche ai ?ruotanti?. E io ci sono cascato, giornalista arrogante e curioso, per niente mitigato dalle quattro ruote. Non è un percorso. è un Camel Trophy. Al buio. Prima una grotta, nella quale si entra accompagnati dalla guida, un ?non vedente? che come Caronte ti traghetta al di là della tua dimensione abituale. Decido di spingermi da solo, non voglio aiuti, ho anch?io il mio orgoglio disabile. Avanzo un centimetro alla volta, muovo le ruote con circospezione, sento anche il minimo dislivello del terreno. «Raul, qui c?è una salita?» azzardo ostentando una calma imperturbabile. «No, Franco, è questione solo di pochi centimetri, vieni avanti tranquillo, ce la fai, la pendenza è minima? ecco fatto, segui la mia voce, visto?». Sì?, visto che cosa? Nulla. Però ha ragione, ce l?ho fatta, la sua voce mi ha rassicurato, è il primo elemento di tranquillità. In effetti non ho paura, nel vero senso della parola. Ma il mio corpo è percorso da una sensazione nuova e incredibile, come se tutti i sensori fossero per la prima volta allertati all?unisono. Sento i suoni, anche i più deboli, cerco di decifrarne l?origine e la direzione, annuso l?aria, provo a distinguere odori e aromi, uso le mani con delicatezza, cercando di sfiorare senza urtare, di disegnare con le dita i contorni degli oggetti. Eppure ho l?impressione netta che davanti a me, a dieci centimetri da me, ci sia un baratro, una botola che sta per inghiottirmi, nella quale precipiterò con la carrozzina per cappello. Così imparo a fare le battute sui ciechi, a immaginare ostacoli contro i quali ignari non vedenti si schiacciano appiattendosi come nei cartoni animati. C?è poco da ridere, quando il buio è totale. Anzi, non è vero. Si ride, ma è uno sghignazzo ai limiti dell?isteria, una valvola di scarico per allentare la tensione. «Raul, dove sei?» imploro ogni tanto, senza esagerare, cercando di darmi un contegno. «Sono qui, Franco, davanti a te?ora saliamo sulla passerella di liane?». «Cosa???»: ma è matto, io con la mia carrozzina e i miei chili di troppo su una passerella stretta che oscilla di qua e di là, nel buio più nero? Ebbene, sì, l?ho fatto, e non è successo niente, perché seguivo la voce di Raul, il mago, il pifferaio magico di questa cordata di ciechi improvvisati, aperta da un cieco a rotelle, specie rara, degna di protezione da parte del Wwf. Non voglio raccontarvi tutto il percorso, non voglio che perdiate il gusto dell?imprevisto. Vi dico che sono salito in una barca, che per entrare in barca sono stato aiutato da Raul, il cieco, che ha manovrato la mia carrozzina facendomi superare ogni ostacolo, che ho visitato un pub dalla musica troppo forte, che m?impediva di orientarmi, e di dialogare, nel buio, con i miei nuovi amici. Loro, tranquilli, giocavano nel loro elemento, sapevano perfettamente dove erano, e dov?ero io. Non hanno infierito, e potevano farlo. Poi, alla fine, ho visto la luce, gli occhi hanno ringraziato la luce, si sono aperti come le mani in una preghiera. E forse ho capito qualcosa di più. Ho provato rispetto. Ecco, la sensazione più forte, al termine del viaggio, è stata questa. Un profondo rispetto per chi non ci vede. Per chi non può aprire gli occhi al termine della ?mostra?, eppure vive, insieme a noi, e ha diritto di fare le stesse cose che noi facciamo senza pensarci. E io mi sono sentito, finalmente, in contatto vero con una cultura diversa, della quale avevo sempre parlato, senza sapere quello che dicevo. Anch?io ho imparato a vedere.


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