Non profit

Usa, fondazioni “in trasferta”

Filantropia /2: qualcosa è cambiato nel mondo del giving?

di Joshua Massarenti

Il 25 aprile 2006 la Bill and Melinda Gates Foundation premia con un assegno di 17 milioni di dollari l?Indepht Network, una rete internazionale di ong impegnata in Ghana con un progetto informatico per le cliniche rurali. Non passano tre giorni che la Ford Foundation, con base a New York, annuncia di voler investire da qui al 2014 oltre 75 milioni di dollari in un programma educativo riservato ad alcuni fra i paesi più poveri del Sud del mondo. Ma non basta. Il 28 maggio successivo è la volta della Dell Foundation a comunicare una partnership con Unitus, un?organizzazione non profit statunitense, per finanziare la microfinanza in India. E la lista potrebbe continuare a lungo. Del resto, basta fare un salto sul sito d?informazione dedicato alle attività filantropiche delle fondazioni targate Usa (il Foundation Center) per rendersi conto che gli aiuti allo sviluppo non sono più una prerogativa di agenzie Onu, grandi donatori bilaterali od ong. Secondo l?ultimo rapporto della Foundation Center International Grantmaking, dal 1998 il volume delle donazioni di queste istituzioni filantropiche è più che raddoppiato per raggiungere una media annua di 3 miliardi di dollari, la metà dei quali provenienti da soli dodici fondazioni (Gates Foundation con addirittura il 17%). Cifre importanti, ma ancora lontane dai 30 miliardi di dollari spesi dalle fondazioni ogni anno per ?curare i traumi? della società statunitense, oppure dai 106,5 miliardi di dollari erogati nel 2005 dai paesi industrializzati sotto la voce di aiuti pubblici allo sviluppo. Il peso dei giganti Una goccia nel mare? Se si ficca il naso in alcuni programmi di respiro mondiale, la risposta è no. Tanto per fare un esempio, l?iniziativa Gavi – Global Alliance for Vaccines Immunisation, la storica alleanza pubblico/privato per consegnare vaccini nei paesi poveri, non avrebbe mai visto la luce senza i 753 milioni di dollari sborsati dal re dell?informatica, Bill Gates. «La vocazione sempre più internazionale della filantropia statunitense», spiega Joseph Zimet dell?Afd, l?Agence française de développement, «è dovuta all?apparizione di nuovi attori di peso come la Fondazione Gates nel settore della salute oppure la Fondazione Gordon e Betty Moore per quanto riguarda la protezione dell?ambiente ». Autore di uno studio esaustivo sulle attività filantropiche internazionali delle fondazioni Usa, Zimet sottolinea che «si nota una moltiplicazione dei programmi internazionali promossi dagli attori tradizionali della filantropia statunitense, il che significa una presa di coscienza reale delle fondazioni americane sulle derive sociali provocate dalla mondializzazione ». Ma quando il cuore e la ragione rispondono, anche il portafoglio ci guadagna. Infatti il sistema fiscale statunitense è molto clemente con la filantropia. A partire dalle deduzioni concesse a chi sostiene una fondazione. Quest?ultima poi è esentata dalla tassa sull?impresa e il suo personale presente nei paesi poveri può contare su uno status fiscale privilegiato. Infine, sono previsti ?bastoni fiscali? che incitano i ricchi a sostenere organizzazioni non profit. In caso contrario, lo Stato li colpisce aumentando l?imposta sulla ricchezza e sui diritti di successione. Strategie diverse Nel dettaglio delle donazioni: per ora, la parte del leone spetta alla salute che nel 2002 assorbe il 32% dei fondi erogati dalle fondazioni made in Usa. Il resto si suddivide tra attività di sostegno all?ambiente, l?educazione o i diritti umani. Sul versante geografico, l?Asia, con il 23% dei fondi ricevuti supera l?Africa (17,6%), l?America Latina (7,7%) e per un soffio … l?Europa occidentale (21,5%). Il dato, a dir poco sorprendente, si spiega col 30% di fondi che ogni anno le fondazioni statunitensi fanno transitare nel Vecchio continente prima di destinarli al Sud del mondo. Il motivo? La sfiducia in partner locali giudicati troppo corrotti oppure privi delle risorse umane necessarie per una buona gestione dei fondi ricevuti. Così, si preferisce affidare i propri soldi a operatori del Nord, a ong oppure a istituzioni di sviluppo. Solo in paesi relativamente stabili come l?India, la Cina o il Sudafrica le fondazioni decidono di avventurarsi senza intermediari. Ma le strategie variano anche in funzione del livello di fiducia riposto negli attori tradizionali dello sviluppo. Da un lato vi sono le cosiddette fondazioni ?internazionaliste? che, come la Hewlett Foundation, non esitano a coordinarsi con le istituzioni internazionali di sviluppo. Al contrario, l?Open Society di Georges Soros preferisce stare alla larga dalle agenzie Onu e dai donatori bilaterali per lavorare direttamente con le popolazioni. Divergenze di strategie che non impediscono alle fondazioni di allearsi. The Partnership for Higher Education in Africa è il nome della task force messa in piedi nel 2000 da Ford Foundation, MacArthur Foundation, Rockefeller Foundation e Carnegie Corporation of New York hanno investito oltre 150 milioni di dollari per il sostegno del sistema universitario in sette paesi dell?Africa subsahariana. Il successo riscosso dalla partnership è stato tale che dal 2005 vi hanno aderito due altri colossi della filantropia (Hewlett Foundation e Mellon Foundation) disposti a lanciarsi in un piano di investimenti quinquennale di 200 milioni di dollari. Dagli States tira decisamente aria nuova.

  • Info: www.fdncenter.org

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