Formazione

Immigrati, in rete a porte aperte

Viaggio lungo lo Stivale alla scoperta dei mondialini di casa nostra. Dove il Ghana straccia l’Italia. E i rifugiati in attesa di asilo sfidano i poliziotti

di Daniele Biella

Il Ghana ha stracciato l?Italia: 7 a 1. Partita a senso unico, superiorità indiscussa degli africani, una lezione di puro calcio. Tutto vero, o quasi. Chiedete agli abitanti di Modena degli All Blacks, vi parleranno di una squadra di 11 fenomeni ghanesi che ha appena vinto il campionato Csi locale. Incontri come quello di Modena se ne trovano a bizzeffe lungo tutto lo Stivale. L?occasione del Mondiale di calcio che è appena iniziato, infatti, ha spinto associazioni e gruppi spontanei a moltiplicare le forze per dare un valore diverso a tutto quello che ruota attorno all?evento. Tornei ?alternativi? tra comunità straniere e italiane sono spuntati come funghi, ognuno con una sua originalità. Gli scopi sono comuni, e ben lontani dagli orpelli di Germania 2006 e dagli ultimi scandali della serie A. Calcio come incontro, competizione a volte dura ma sempre ?pulita?. «Si tratta di vivere lo sport come un diritto, non un consumo», esordisce Michele Papagna, organizzatore di Altrimondiali, rassegna che si sta svolgendo nell?hinterland milanese e che coinvolge squadre di Palestina, Kenya, Sudamerica, e rappresentanze italiane. «Quando si sono iscritti, i sudamericani erano stupefatti dal poter giocare senza dover pagare», prosegue Papagna. L?iniziativa ha appena avuto anche il patrocinio più alto, quello della Presidenza della Repubblica. «Scimmiottiamo i Mondiali per sconfiggere il razzismo e i pregiudizi». Chi vincerà? «I favoriti sono i kenyani – la squadra creata a Nairobi da padre Kizito Sesana, fondatore di Amani – gli africani vincono spesso e si divertono», dice Papagna. Algerini in bianco Nella Ethnoland Cup, invece, non è sempre così. «In otto edizioni la mia Algeria non ha mai vinto», parola di Noureddine Zekri, ideatore della competizione, che coinvolge 15 squadre di comunità immigrate a Milano, «ma di certo un torneo come il nostro consente di salvare molti giovani dalla strada». Proprio così: ci si appassiona allo sport, si conoscono altre persone, a volte si è notati da allenatori italiani che poi li fanno giocare nelle loro selezioni. Il calcio è un luogo di appartenenza anche per la squadra supportata dall?associazione Naga Har (che ha organizzato un torneo a otto squadre che partirà il 17 giugno), composta interamente da rifugiati africani in attesa di asilo. La condivisione, soprattutto fra comunità straniere, serve per accettarsi l?un l?altro. Ne è convinto Roberto Nicolis, responsabile di Un pallone come il mondo, iniziativa che si sta svolgendo a Verona: «Sono due i livelli di integrazione nelle partite fra comunità», dice Nicolis, «uno tra loro stesse, l?altro tra loro e i cittadini italiani». Al torneo, giunto alla quarta edizione, partecipano 15 nazioni più una ?multinazionale? mista, che ha sfidato nei giorni scorsi funzionari locali, giornalisti e persino la questura veronese, battendola. Buon appetito Questo non è l?unico esempio di ?scontro? tra immigrati e forze dell?ordine: ad Avellino, in uno dei tornei (gli altri sono in Umbria e in Sicilia) del progetto Macchia di leopardo delle UsAcli, il team dei paesi dell?Est ha affrontato in finale la Polizia. «Ma è andata male», ammette Nino Sciamone, responsabile siciliano dell?ente organizzatore. «Comunque in ogni incontro non conta solo il risultato finale», interviene Nicolis «una giuria vota il fair play delle squadre, la migliore viene poi ripescata». E non è tutto, a Verona il calcio è anche sinonimo di convivialità: «L?accoglienza è fondamentale: dopo la partita, a turno una delle due squadre prepara per l?altra specialità del proprio paese», racconta Nicolis. Se non ci si mette impegno in cucina, non si passa il turno.


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