Volontariato

L’urlo della preghie

Teatro. L’opera di Delbono e la malattia del potere - di Chiara Cantoni -

di Redazione

Vagito primordiale, rantolo bestiale, ringhio sporco: potente invocazione al cielo e appassionata adesione alla terra, Urlo di Pippo Delbono sbarca al Teatro Studio di Milano, dopo una prestigiosa tournée internazionale. In scena, accanto agli attori storici della sua rocambolesca compagnia – una tribù di down, emarginati e senza tetto – la presenza di Umberto Orsini e le melodie popolari di Giovanna Marini. «I miei spettacoli hanno sempre parlato di malattie fisiche, dolori, lotte, follia», dice il regista di Varazze. «L?urgenza che avvertivo era sì verso una malattia, ma una malattia nuova, di diverso tipo. Esistono malattie che non sono più riconoscibili in quanto tali, ma per questo sono più mostruose, più terribili, nascoste, difficili da scoprire, anche in noi stessi. Come il potere». Il potere plateale e blasfemo della macchina politica, l?arroganza autoritaria delle gerarchie ecclesiastiche o lo snobismo miserabile delle élite intellettuali. Ma anche il potere antico e quotidiano che si insinua nei rapporti, la ferocia dissimulata delle relazioni personali, la violenza sottile del ricatto che inquina il sentimento e distorce l?intenzione. Compresso nella forma vuota di rituali senza senso, l?umano implode nella caricatura di sé: sulla scena un corteo di vescovi deformi, suorine mascherate, re impotenti e regine disperate, star da rotocalco, personaggi dei fumetti, soldati-marionette e improbabili pupazzi asseconda, in un vortice di gag tragicomiche e sublimi, il copione surreale di una follia visionaria. Nella babele dell?umano, l?affermazione del sé si nutre di sottomissione: il forte vince, il debole soccombe. Nessun pudore manicheo, nessuno scandalo. Il potere dei grandi si annida nella carne dei piccoli. Ma dal cancro primordiale che corrode trae forza inaspettata l?esplosione della vita, scandalosa nel riconoscimento di una sacralità salvifica in cui «tutto è santo». Dall?Urlo di Munch a quello di Ginsberg, attraverso la Ballata del carcere di Reading di Wilde, il grido degli uomini di tutti i tempi erompe sulla scena. Un campionario trasversale accosta i ?miserere? della comunità religiosa di Sessa Aurunca all?hard rock dei Metallica, le melodie della Marini alle canzonette anni 60. Straziata come una tela di Bacon, nera come una pittura di Goya, lapidaria come un verso di Pasolini, questa voce randagia e demente è la voce vittoriosa della santità. Santità di Bobò, sordomuto incontrato al manicomio di Aversa, di Mister Puma o Wolf, vagabondi ai margini che trovano, nel grido di Delbono, la forma dirompente della loro preghiera.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA