Non profit

Il giovane economista è molto osé. e molto civile

Emergenti. A Forlì un convegno con una nuova generazione di studiosi

di Francesco Maggio

Come fa un economista naufrago su un?isola deserta ad aprire una scatoletta di tonno? Semplice, suppone di avere un apriscatole. Di freddure come questa ne circolano tante: l?economista non è mai stato, per definizione, un personaggio concreto. Troppo campate in aria e avulse dalla realtà le sue teorie. Che partono, almeno da un paio di secoli a questa parte, dal presupposto che l?unico movente dell?azione umana sia il tornaconto personale. Su questo fragile assunto sono stati costruiti modelli econometrici tanto sofisticati quanto, non di rado, inutili e incomprensibili. Con buona pace del compianto John Kenneth Galbraith, che per una vita si è speso a sostenere, a ragione, che «non esistono in economia proposizioni utili che non possano essere enunciate con precisione, in lingua chiara, priva di ghirigori e, nello stesso tempo, gradevole».

Il ?giochino? inceppato
A un certo punto, però, il ?giochino? si è inceppato. L?economia da «scienza triste», come la definiva il filosofo scozzese Thomas Carlyle, è diventata tristissima. E l?Accademia è entrata in crisi. Non tutta, per fortuna. Certamente non quella che, nel fertile sentiero dell?economia civile (ri)proposto grazie a studiosi come Stefano Zamagni e Luigino Bruni, sta facendo crescere una nuova generazione di economisti che hanno deciso di ritrovarsi il 9 e 10 giugno a Forlì per mettere a confronto lo stato di avanzamento dei loro studi.
«All?inizio del Settecento» spiega Raimondello Orsini, docente di Etica degli affari e delle professioni alla facoltà di Economia di Forlì, «ha cominciato a farsi largo l?idea che quello economico fosse un ambito particolare, all?interno del quale ciascuno potesse avere una deroga morale, non interessarsi anche al bene altrui ma solo al proprio tornaconto tanto poi ci avrebbe pensato la mano invisibile a ricomporre le scelte individuali in un risultato benefico per tutti. Oggi è ancora molto diffusa questa concezione, ma si notano le prime significative ?crepe?, si infittiscono i gruppi di economisti che cominciano a interessarsi a materie come l?economia del dono e a prendere in considerazione comportamenti altruistici».
Ma anche qui bisogna stare attenti perché il rischio di ricadere nel ?già visto? è alto, come mette in guardia Miriam Michelutti, docente di Macroeconomia all?università di Udine e da un anno a Londra a far ricerca sulle ?determinanti? del volontariato: «L?altruismo non è una novità per gli studi economici. Ma mentre, quando io faccio riferimento al tema, ritengo che le motivazioni che spingono a fare volontariato siano molteplici e spazino dal self interest a quelle più gratuite, nella vecchia letteratura anche la predisposizione a socializzare viene interpretata come comportamento finalizzato. Il mio auspicio è dimostrare l?impatto positivo che concezioni diverse dal self interest possono avere sulla singola persona, anche se non fa volontariato».

I limiti del self interest
A rincarare la dose ci pensa Marco Faillo, assistente di ricerca all?università di Trento: «Bisogna costruire teorie e modelli formali che contemperino anche questo tipo di motivazioni. Si tratta di un passo obbligato se si vogliono studiare con gli ?arnesi? dell?economista la csr e il non profit».
Compito che sta svolgendo già da qualche anno Michele Mosca, economista dell?università Federico II di Napoli: «Il non profit è in grado di valorizzare meglio di altre organizzazioni il fattore lavoro piuttosto che il capitale, ma attenzione a non mortificare l?aspetto motivazionale di chi lavora nel terzo settore».

Arma a doppio taglio
Già, perché potrebbe rivelarsi un?arma a doppio taglio come sa bene Sara Depedri, docente di Economia del lavoro a Trento: «Tutte le teorie economiche del lavoro hanno guardato all?incentivazione dei lavoratori esclusivamente sotto il profilo monetario e materiale trascurando ciò che il lavoro rappresenta dal punto di vista della crescita personale e professionale. Le organizzazioni non profit costituiscono un laboratorio utile alla comprensione di queste dinamiche perché chi ci lavora cerca anche una remunerazione intangibile. Ma anch?esse hanno una soglia di necessità economica da soddisfare, altrimenti proprio le persone più motivate possono andar via».
Per Mosca l?antidoto è una maggiore concorrenza tra enti non lucrativi «perché favorirebbe il controllo esterno». Quanto all?aspetto motivazionale e a come l?economia lo mette sotto la lente, Faillo è drastico: «L?economia sta vivendo questo ampliamento dei suoi campi di indagine come una rivoluzione, cosa che invece non avviene con la sociologia o le scienze politiche». Forse perché non tutti nell?Accademia sono convinti di questa inversione di rotta?
«Nella realtà», risponde Orsini, «si sono verificati talmente tanti guasti che anche l?economista più ortodosso non può rimanere nella sua torre d?avorio con la sua impostazione neoclassica. Ma non è detto che sia davvero convinto delle spiegazioni che gli offrono le nuove teorie».
Avanti tutta, quindi, giovani economisti. Civili.

430 centri di ricerca al setac
Nasce la prima guida alle risorse online relativa alle organizzazioni e ai centri di ricerca sulle tematiche del non profit e dell?economia civile a livello mondiale. Si tratta di una banca dati, realizzata da Aiccon international resource centre, in continuo aggiornamento, essendo aperta a segnalazioni e integrazioni esterne, che parte dal censimento di 430 realtà tra centri di ricerca universitari e non, centri di documentazione, network, soggetti formativi, classificati per temi, approccio teorico, tipologie di risorse e documenti disponibili, oltre che per paesi di appartenenza. In questo scenario i centri universitari hanno sicuramente un ruolo significativo, consentendo la consultazione online di working paper, progetti di ricerca, atti e pubblicazioni; oltre a questi sono presenti centri di documentazione prevalentemente non profit specializzati su determinate tematiche, oltre ad alcuni casi di realtà for profit operanti nell?ambito della consulenza che presentano case studies e best practices. Emerge un panorama articolato che rende anche atto di come lo studio e la ricerca sull?economia civile si configurino in relazione alle dinamiche e alle potenzialità di sviluppo di questo settore in ciascuno specifico contesto.

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