Salute

Farmaci in via di sviluppo

Paesi poveri e Aids / Le Big Pharma sono sempre state le grandi imputate. Ma negli ultimi anni, grazie alla pressione della società civile, molte cose stanno cambiando

di Joshua Massarenti

«Una buona salute contribuisce alla crescita economica, mentre una cattiva salute favorisce la povertà». Il ragionamento non fa una piega. Più sorprendente è che a ribadirlo sono otto capi di Stato, per giunta alla guida dei paesi più ricchi del pianeta. Era il luglio 2000 quando a Okinawa, in Giappone, il G8 si riunì per rispondere alle sfide del nuovo Millennio.
Tra queste, l?Aids primeggiava con numeri da capogiro: per il solo 1999 i morti erano stati 2,8 milioni, le persone infettate 5,4 milioni e quelle che vivevano con il virus dell?Hiv 34,3 milioni, il 70% dei quali in Africa subsahariana. L?emergenza era tale che l?Assemblea generale delle Nazioni Unite organizzò nel febbraio 2001 una Sessione straordinaria (Ungass) interamente dedicata alla pandemia. Da questa storica riunione emerse una dichiarazione sottoscritta da 189 paesi che stabilì un piano d?azione globale chiamato a frenare l?epidemia da qui al 2010. Forse consci dell?impresa, da lì a pochi mesi questa scadenza fu protratta dall?Obiettivo 6 della Dichiarazione del Millennio (Mdgs) al 2015.

A cinque anni di distanza è tempo di bilanci. Come spiegare al cittadino che nel 2005 il mondo ha ancora a che fare con un?epidemia che tocca circa 40 milioni di esseri umani? Che il 70% dei malati vive in Africa subsahariana? Che nello scorso anno l?Aids ha ucciso circa 3 milioni di uomini, donne e bambini (di cui 2,4 milioni di africani)?

Il compito diventa ancor più ingrato se si pensa agli sforzi forniti dalla comunità internazionale per sradicare l?Aids. In un rapporto reso noto al pubblico il 24 marzo scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha ricordato che «tra il 2001 e il 2005 il finanziamento totale dei programmi di lotta contro l?Hiv nei paesi in via di sviluppo è più che quadruplicato» (8,3 miliardi di dollari nel 2005), mentre «il numero di pazienti beneficiari di un trattamento antiretrovirale è quintuplicato». Eppure, non è bastato. Per buona parte dei rappresentanti della società civile presente alla sessione straordinaria dell?Assemblea generale Onu sull?Aids, l?accesso ai farmaci rimane il problema principale. Anche se c?è un fronte sempre più nutrito di ong che ha individuato un punto di fragilità molto più drammatico: quello dei sistemi sanitari dei paesi africani, abbandonati a se stessi dalla classe politica al potere. La stessa ActionAid parla di «fragilità e debolezza dei sistemi sanitari del Sud del mondo».

«Ma ad impedire un accesso sostenibile alle cure è ancora, più di ogni altra cosa, il costo dei farmaci», precisa la stessa ong nel suo rapporto del 30 maggio 2006. Sul banco degli imputati, le Big Pharma, e le regole sui diritti di proprietà intellettuale stabiliti nel 1995 dal Wto, l?Organizzazione mondiale del commercio che con l?accordo Trips (Trade-related Aspects of Intellectual Property Rights), impedivano lo sviluppo di una concorrenza normale e la conseguente produzione di farmaci antiretrovirali generici, cioè fuori dalle regole di brevettabilità (Arv).

Solo nel 2001 la Conferenza ministeriale del Wto garantì ai paesi in via di sviluppo forme di tutele come le licenze obbligatorie, le quali autorizzavano la produzione di generici necessari alla lotta contro l?Aids. Ma come sottolinea Paola Giuliani di ActionAid, «all?indomani di Doha rimaneva ancora aperto il problema dell?accesso ai farmaci per quei paesi privi delle risorse industriali e tecnologiche necessarie per produrre in proprio i farmaci salvavita».

Un passo in avanti fu raggiunto il 30 agosto 2003 quando governi e case farmaceutiche consentirono la fabbricazione e l?esportazione di generici prodotti in regime di licenza obbligatoria nei paesi impossibilitati a fronteggiare l?emergenza Aids. Un accordo reso definitivo il 6 dicembre 2005 nonostante preveda un processo decisionale farraginoso che non considera le economie di scala necessarie ad attrarre l?interesse dei produttori farmaceutici. Come se non bastasse, dal gennaio 2005 l?India, tra i principali paesi esportatori di generici, si è dovuta piegare alle regole del Wto (cioè ai Trips) imponendo brevetti ventennali sui nuovi farmaci. Così, se con i generici di prima linea i costi sono crollati da 10mila dollari annui per paziente agli attuali 165 dollari, la terapia di seconda linea rimane fuori dalla portata.

Eppure in tema di responsabilità sociale le industrie farmaceutiche non sono rimaste indifferenti. Prova ne è la partecipazione di sette laboratori all?Iniziativa lanciata dall?Onu nel 2000 per accelerare l?accesso ai farmaci contro l?Hiv/Aids. «Nel marzo 2005», spiega il rapporto della Commissione dell?Oms sui diritti della proprietà intellettuale, l?innovazione e la sanità pubblica (aprile 2006), «427mila persone afflitte dall?Hiv/Aids nei paesi in via di sviluppo sono state trattate con farmaci antiretrovirali forniti dalle Big Pharma» coinvolte nell?iniziativa (per esempio Glaxo e Bristol-Myers Squibb). A questo si aggiunge l?adesione del privato al Global Fund (la maxi alleanza tra settore pubblico e privato per la lotta contro l?Aids, la malaria e la tubercolosi) oppure all?iniziativa 3by5 lanciata nel 2002 dall?Organizzazione mondiale della sanità con l?obiettivo di porre sotto trattamento antiretrovirale tre milioni di persone entro il 2005. Ad oggi, però, solo 1,3 milioni di persone nei paesi in via di sviluppo hanno avuto accesso all?Arv. Ma se il finanziamento tardivo di alcuni donatori (soprattutto governi) è all?origine del flop del programma 3by5 , parte di responsabilità, ricorda ActionAid, incombe sui sistemi sanitari del Sud del mondo.
«è un problema fondamentale», aggiunge Loretta Peschi, coordinatrice dell?Osservatorio italiano sull?azione globale contro l?Aids. «Senza una catena umana attraverso la quale distribuire i farmaci, senza una catena del freddo in cui stoccarli, senza unità mobile per raggiungere il mondo rurale e senza personale medico competente per seguire i pazienti, il discorso sull?accesso universale ai farmaci si svuota». Come da copione, un rapporto dell?Unione africana ricorda che «solo un paese su tre dedica oltre il 10% del proprio budget alla sanità», in violazione con gli obiettivi fissati nel Summit di Abuja (Nigeria) nel 2001.

Lo scorso 25 maggio, i paesi membri dell?Oms hanno approvato una risoluzione che prevede la nascita di un piano d?azione globale per orientare la ricerca e lo sviluppo a beneficio di malattie trascurate del Sud del mondo, tra cui l?Aids, e non a interessi commerciali. Un?occasione per tutti, paesi ricchi, case farmaceutiche e governi africani.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.