Cultura
Il welfare spezzatino, indigesto al non profit
«È una scelta che produrrà enormi inefficienze»
Tra le deleghe ancora vacanti e quelle frammentate in cinque diversi dicasteri (Lavoro, Sanità, Solidarietà sociale, Famiglia, Politiche giovanili e Sport), il Welfare-spezzatino lascia spiazzato, se non preoccupato, il mondo del sociale italiano. «Non ha alcun senso e produrrà enormi inefficienze e guerre di confine», preconizza un?esperta che non si può dire ostile alla sinistra, la sociologa Chiara Saraceno, ex presidente della Commissione Povertà per il ministro Turco. «Queste scelte costeranno care», prosegue, «non solo in termini banali di costi di gestione, ma di efficacia politica». E conclude: «L?unico senso di questa operazione sta nell?aver dato un contentino ai partiti e agli aspiranti ministri, in particolare alle donne, per altro beffandole e umiliandole e con loro l?intero elettorato femminile».
Al centro delle critiche sta, ovviamente, la frantumazione delle competenze su materie ?indivisibili? come la famiglia, i minori, i giovani, le dipendenze, il lavoro, l?immigrazione.
Certo, per alcuni il riconoscimento di un ministero (pur senza portafoglio) della Famiglia «è una novità positiva», dice don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco (che pure, nei giorni scorsi, aveva affidato al suo blog un ?cattivo pensiero? sul rischio spartizione di poltrone nel Welfare?). Eppure proprio il dicastero affidato alla Bindi è una chiave di lettura che si presta a visioni opposte: «Che significa creare un ministero della Famiglia separato da Politiche sociali e Previdenza?», obietta Giacomo Libardi, vicepresidente di Cgm. «Se non può sviluppare servizi come asili e case di riposo e non può garantire erogazioni finanziarie, che farà? Una politica familiare astratta? Non avrebbe senso». Il vicepresidente di Cgm giudica inoltre un ?arretramento culturale? l?attribuzione della materia dell?immigrazione alla Solidarietà sociale, il ministero affidato a Paolo Ferrero: «Già era limitante considerarla solo come serbatoio di forza lavoro», dice, «ma attirarla sotto l?ombrello dell?assistenza è peggio. Il risultato è che nessuno, finora, è stato in grado di considerare l?immigrato come una risorsa».
«Lo spacchettamento del Welfare non mi pare sbagliato, se soltanto pensiamo al fatto che prima si era creato un totale appiattimento sul tema delle pensioni e della politica previdenziale a scapito della solidarietà sociale», ribatte Lucio Babolin, presidente di Cnca. «Certo, resta un problema di coordinamento tra diversi ministri che dovranno necessariamente trovare un?intesa nella programmazione delle politiche».
Ed è questa la grossa grana, a detta di tutti, che il futuro governo dovrà affrontare in tema di Welfare: da un lato, a livello centrale, la discussione sulla spesa (a cominciare dal Fondo sociale che, secondo un calcolo del Cnca, per rimettere in piedi i diritti di cittadinanza dovrebbe arrivare a 6 miliardi di euro all?anno) e sui famosi Liveas, che il governo Berlusconi non è riuscito a definire, lasciando incompiuta la 328. Ma soprattutto, «il problema è declinare tutto a livello regionale», dicono Babolin e Libardi, «dove la contrattazione regionale e la programmazione concertata mettono tutto insieme: interventi socio-sanitari, politiche giovanili, tossicodipendenze, marginalità, lavoro».
Qui, sul livello territoriale, lontano dal ministero-spezzatino, si gioca la vera, difficile sfida del non profit e delle realtà impegnate nel sociale.
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