Welfare

Dura la vita del reduce

è uno dei tanti che nel 1999 partì per il Kosovo, pensando che quella fosse la sua vita. Oggi è bloccato in Italia. Aspetta, come tanti suoi amici di allora...

di Redazione

Durante le guerre nella ex Jugoslavia, centinaia di giovani italiani hanno visto aprirsi molte possibilità in quel mondo, la cooperazione internazionale, sconosciuto ai più negli anni precedenti. E così sono nate nuove ong e quelle già esistenti si sono ingrandite anche grazie ai finanziamenti nazionali e internazionali. Hanno così incominciato a proliferare corsi sui Diritti umani, sulla Cooperazione allo sviluppo, sugli aiuti umanitari organizzati dalle più importanti università nazionali. Si sono andate affermando le raccolte fondi per la solidarietà internazionale attraverso i mezzi di informazione con testimonial d?eccezione come attori, cantanti, calciatori. Kosovo anno zero La crisi del Kosovo della primavera del 99 poi ha rappresentato un vero e proprio anno zero per la crescita del settore. Un piccolo esercito di cooperanti ha svolto un lavoro importante in queste rischiose missioni. Tra quei volontari c?ero anch?io, fresco di laurea e con tanta voglia di fare. Andai dapprima in Albania in un centro collettivo a occuparmi di mille profughi che non avevano nulla: erano scappati dalle loro case portandosi dietro solo i vestiti che avevano addosso. Poi passai in Kosovo dove rimasi per più di un anno svolgendo diversi ruoli. Con me decine di giovani italiani che si erano tutti ritrovati a Pec-Peja, vera enclave italiana in Kosovo anche per la presenza di 5mila militari di esercito, aviazione e marina italiani. Un nucleo di amici e colleghi con cui ho condiviso gioie e dolori, momenti di felicità e soddisfazione. Tanti giovani che oggi hanno fatto carriera nelle ong o nelle organizzazioni internazionali. O che sono stati costretti e riciclarsi in altri lavori magari tornando definitivamente in patria. Ne ho ricontattati alcuni. Come Ivanka, 29 anni, che ha gestito da sola un difficile progetto sanitario. «Quando sono partita per il Kosovo nel 1999 ero la persona più felice del mondo. Realizzavo il sogno della mia vita: quello di svolgere una professione al servizio degli altri», mi dice col suo allegro sorriso, nel suo ufficio romano dell?Agenzia Sviluppo Lazio, dove lavora da alcuni mesi. Dopo una laurea in Economia dello sviluppo alla Sapienza di Roma, vari corsi alla Croce rossa e un master in Cooperazione allo sviluppo conseguito all?Università di Pavia, Ivanka ha cominciato a lavorare per una ong di Roma a Pec-Peja in Kosovo. Crisi esistenziale In barba a mine antiuomo, al freddo polare, ai rischi di una regione senza leggi, in uno scenario di distruzione e tristezza ci è rimasta per più di un anno, aiutando la popolazione locale a rialzarsi dopo una devastante guerra. Una volta tornata a Roma, si è sentita dire che data la mancanza di finanziamenti e progetti, avrebbe fatto meglio a trovarsi un altro impiego. E così è finita all?Agenzia di Sviluppo Lazio con un contratto di collaborazione continuativa occupandosi di internazionalizzazione di piccole e medie imprese dell?Est Europa e del bacino del Mediterraneo. Un lavoro interessante ma che non è proprio quello che da sempre voleva fare: la cooperante. O come Mario, 31 anni, carattere amabilissimo e gioviale tipico del bolognese. La classica persona sempre disposta ad aiutare tutti (cooperanti in crisi esistenziale compresi). Uno che si sveglia la mattina e canta Gracias a la vida. Ha assistito centinaia di kosovari nel suo campo profughi di Elbasan in Albania per conto della ong della Cgil e a Pec-Peja ci è rimasto quasi due anni. Ora ha deciso di tornare a Bologna e lavorare a tempo pieno per il sindacato. Anna, la sua splendida bimba di un anno, nata dall?unione con Sanja, anch?essa cooperante, deve crescere e studiare: ha bisogno di un padre col posto fisso. «Ho dovuto fare delle scelte importanti: mantenere una famiglia non è cosa da poco. In futuro forse tornerò in missione», mi confessa via telefono dalla sede bolognese della Cgil dove aiuta i cittadini a compilare la dichiarazione dei redditi. La vita non è facile neanche per coloro che hanno in passato ricoperto cariche istituzionali importanti nel mondo degli aiuti umanitari. Come Stefano, brillante ex commissario della Missione Arcobaleno ora responsabile delle relazioni esterne e raccolta fondi di una ong che assiste bambini in moltissimi Paesi poveri. O come Angelo, che dopo la mansione di Democratization Officer con l?Osce (l?Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) sta lavorando all?ufficio commerciale di una società umbra, nonostante il suo background fatto di stage all?estero, borse di studio, missioni in Africa e Sudamerica. Più fortunati sono stati Nicola e Bernardo: due infaticabili che hanno retto quasi da soli le sorti della Missione Arcobaleno e che ancora oggi aiutano di tasca propria i kosovari. Il primo ha passato l?importante concorso Jpo-Esperti associati delle Nazioni Unite e ora lavora a Johannesburg. Il secondo invece è stato assunto all?Unmik (United Nations Mission in Kosovo) con un contratto da professionista. Siate flessibili Molti altri annaspano tra una missione di alcuni mesi o un piccolo master nella speranza di avere più possibilità in futuro e magari aspirare a un posto nelle grandi organizzazioni internazionali tipo l?Onu, che vantano un trattamento contrattuale decisamente migliore. «Per accedere alla carriera di cooperante non sono richiesti particolari studi anche se di norma viene privilegiato colui che ha una laurea meglio se in materie come agraria, medicina o ingegneria. Sono richieste la conoscenza di lingue straniere come inglese o francese, flessibilità e capacità di lavorare in un contesto difficile». Questo è più o meno quello che appare su tutte le ?vacancies? di ong nazionali e internazionali quando cercano personale da assumere nei propri quadri. Chiedetelo a Carolina: dottorato in storia, vari master alle spalle, quattro lingue. Dopo una breve parentesi sul campo con le Nazioni Unite ora lavora a Roma come ricercatrice (precaria) presso una organizzazione internazionale. Lavoro di routine, poca azione e molte ore seduta alla scrivania. «Meglio fare la mamma», mi ha detto annunciandomi la nascita del suo primogenito per l?inizio del 2003. Michele Novaga chi è:Michele Novaga, l?autore di questo ?diario da reduce? ha 29 anni ed è milanese. Dopo la laurea in Scienze politiche ha intrapreso la carriera di cooperante nel 1999. Ha lavorato in Albania, Kosovo, Bosnia e Cuba svolgendo diversi ruoli per ong italiane, per le Nazioni Unite e per l?Osce. è in attesa di partire per una nuova missione internazionale. Un mestiere illegale E’ sempre più urgente la riforma della legislazione Per dare una risposta a tutte le storie raccontate in questo diario, sarebbe necessario stabilire regole più chiare. Il riconoscimento legale della figura del cooperante sarebbe un importante passo da parte del Parlamento. Molto spesso i politici nostrani si sono accaparrati i meriti per l?operato dei volontari italiani nel campo degli aiuti umanitari. La legge n. 49 del 26 febbraio 1987 appare superata alla luce dell?enorme espansione del Terzo settore in questi 15 anni. Attualmente al cooperante viene riconosciuto il titolo di consulente e il tipo di contratto è il Co.co.co (collaborazione coordinata e continuativa) in base al dpr n. 917 del 22 dicembre 1986. Da anni le ong chiedono che nei progetti finanziati dai ministeri competenti per il settore del volontariato all?estero si aumentino i massimali di retribuzione convenzionali. Ma finora nulla di nuovo. E poi anche le Ong potrebbero fare la loro parte premiando coloro che si sono distinti sul campo, responsabilizzandoli maggiormente invece che lasciarli alla fine di ogni missione. Gliene sarebbero grati tanti giovani e meno giovani come il barbuto Fabio, di professione agronomo, che così eviterebbe di progettare giardini e tornerebbe volentieri a far progetti per risollevare l?agricoltura in alcuni Paesi in via di sviluppo. Ma soprattutto Giuditta, Michele, Patrizia, Gabriella, Diletta, Matteo, Susanna, Antonio e i tanti altri ?italiani? del Kosovo. (M.N.)


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