Volontariato

White trash dall’ohio

Film. Un piccolo pamphlet politico di Steven Soderbergh

di Maurizio Regosa

Ha riscosso un certo successo, specialmente fra i critici, questo piccolo film che Steven Soderbergh ha realizzato per Channel Four. È piaciuto per lo stile asciutto e senza belletto. Per il rigore, per lo sguardo compassionevole. Per la mancanza di pretese. Tutte qualità che senza dubbio Bubble possiede. Devo confessare però che questo film mi ha lasciato un certo disagio. Ho trovato, sì, interessante l?ambientazione in una fabbrica di bambole (con il sospetto, non proprio originale, che quei bambolotti tutti uguali siano in qualche misura il simbolo di esistenze indistinte). Mi ha fatto piacere la decisione di mostrare un non convenzionale luogo di lavoro (l?industria continua a essere la grande assente del cinema contemporaneo). Come ho apprezzato la scelta dell?Ohio e della Virginia occidentale, zona depressa e popolare, in cui l?ambizione americana, il consumismo e la retorica si scontrano (soccombendo) con le bollette da pagare, un?alimentazione sbagliata e un?assordante assenza di speranza. La stessa vicenda mi è parsa degna di nota, come pure ho trovato non banali i suoi protagonisti: Martha, operaia di una certa età, grassa e infelice, che divora patatine e hamburger, probabilmente innamorata di un suo giovane e belloccio collega; Kyle, il belloccio suddetto; Rose, ambigua neoassunta, ragazza madre, sveglia e al tempo stesso sospetta. Ruoli fra l?altro ben interpretati da attori non professionisti (Debbie Doebereiner, Dustin James Ashley, Misty Dawn Wilkins) perché, ha dichiarato il regista, «volevo mescolare la realtà e la fiction in maniera meno aggressiva di quello che fanno in tv i reality show». Ma nonostante questi apprezzabili aspetti, qualcosa non è tornato. In effetti mi pare che tutto sia impostato sulla base di un?idea che mi è suonata come una sorta di posizione di principio. E cioè: l?efficacia della rappresentazione aumenta se si sottrae la spettacolarità, o meglio se si riduce al grado zero la messa in scena (con tutto quel che ne segue in termini di scenografia e soprattutto di sceneggiatura). La messa in scena però, da un altro punto di vista, coincide con la possibilità stessa del racconto e della comprensione. Fare un film è anche faccenda di opinioni (come lo stesso Soderbergh ci ha raccontato fin dal suo esordio, quel Sesso bugie e videotapes cui Bubble si ricollega anche per l?uso della tecnologia digitale). Senza contare che le cose, se devono parlare da sole, non è detto che ne abbiano voglia. O che siano del tutto chiare.


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