Cultura

Il crack del calcio

Le potenti spa di oggi nascono come associazioni, anche se in pochi se ne ricordano. Non se n’è dimenticato Marco Vitale. Che propone un passo indietro. E in tanti dicono di sì

di Francesco Maggio

AC Milan, AS Roma, AC Chievo, AC Siena? Accipicchia, è già tutto scritto, in alcuni casi da più di cent?anni, su quei bei stemmoni che ti dicono subito che la tua squadra di calcio è un??associazione?. A come associazione, calcistica o sportiva a seconda dei casi, ma sempre associazione. Cioè, senza fine di lucro. Possibile che la miopia di certi legislatori del 1996 (legge n. 586) non se lo fosse ricordato? Certo, con il senno di poi, con tutto lo squallore che sta emergendo dal pianeta football, è facile sostenere oggi che tutto comincia da lì, da quell?infelice provvedimento che ha reso le società di calcio società ?a fine di lucro?, ha concesso loro di quotarsi in Borsa (come se gli stakeholder cui deve rispondere una società di calcio fossero solo gli azionisti) ma, soprattutto, di giustificare dietro l?insostenibile alibi della ?legge del mercato? nefandezze impronunciabili. «Il calcio è un bene di interesse collettivo», spiega Carlo Borzaga, preside della facoltà di Economia dell?università di Trento. «Il passaggio a società per azioni nega questo fattore, un bene comune deve essere tutelato e non può essere esposto alle sole logiche del profitto». Ma a che serve, ormai, guardare indietro? È molto più utile, anche se incredibilmente complesso, provare a immaginare un futuro. Lo ha fatto con la consueta lucidità Marco Vitale. Economista d?impresa, grande consulente aziendale, già professore alle università Bocconi e di Pavia ma, soprattutto, uomo eticamente di rara robustezza. Ha fatto, tutto sommato, una proposta semplice Vitale, ma proprio per questo ?rivoluzionaria?. Ha detto: cancelliamo la previsione che i club possano essere organizzati come società per azioni con scopo di lucro; o, in alternativa, facciamo come in Germania, diamo vita alle società di calcio spa che contemperino che la direzione operativa sia affiancata da un consiglio di sorveglianza di cui facciano parte fondazioni, istituzioni e supporter. Insomma, è la tesi di Vitale, agiamo a livello di governance e rendiamo protagonisti società civile e sindaci. Proposta che trova subito d?accordo Edio Costantini, presidente del Csi – Centro sportivo italiano: «Tutti i soggetti di un territorio devono fare la loro parte, a partire dalle amministrazioni comunali e dalle fondazioni per arrivare agli imprenditori ?sani? pensando anche a forme di azionariato popolare». Ma anche un decano del giornalismo sportivo come l?ex direttore della Gazzetta dello sport, Candido Cannavò, pur con qualche distinguo: «Attenti a generalizzare», ammonisce, «è lo spessore delle persone a fare la differenza. Per esempio, a Milano il Comune sta vendendo lo stadio alle società, un?operazione che va nella direzione contraria». Più governance, quindi, più approccio multistakeholder direbbero gli economisti. Sottolinea Borzaga: «Un consiglio di garanzia che abbia tra i suoi membri anche il sindaco svolgerebbe una preziosa funzione di bilanciamento e attenuerebbe la corsa alla massimizzazione dei profitti di certi manager». Da Torino il sindaco Chiamparino fa sapere a Vita di esser pronto a questo passo. Ricominciamo, quindi. Da AC…


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