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L’altramerica: Andare a votare? E perchè mai?

Disattenzione e assenteismo imperano in vista del 5 novembre, dai politici ai media alla gente

di Bernardo Parrella

“L’amministrazione Bush è brillante nel marketing. Nessun presidente prima di lui ha fatto un tale affidamento sulla diffusione di messaggi precisi e sull’attenzione dei media. I PR di Bush operano così bene che seguendo le notizie se ne ricava l’impressione che tutti siano d’accordo sulle sue posizioni.”

Questa l’apertura di un dispaccio elettronico diffuso nei giorni scorsi da Moveon.org, entità di tendenze liberal tra le più attive in vista delle prossime elezioni. La quale vuole innanzitutto sottolineare un concetto tanto chiaro quanto ignorato dai media mainstream: la maggioranza degli statunitensi è preoccupata per i progetti bellici di Bush, e annesse ricadute. Il 5 novembre occorre perciò un piccolo “mutamento di regime”, qualcosa che potrebbe concretizzarsi grazie al contributo di ciascun elettore verso la creazione di una “cultura di partecipazione civica e dissenso patriottico.” Un invito pressante che punta ad una grande diffusione tramite canali d’uso comune: adesivi su parafanghi e finestrini delle macchine, montagne di e-mail, il passaparola. Non a caso Moveon.org ha preparato un apposito mini-poster, prelevabile tramite download online (http://www.moveon.org/PAC_regimechange2/) o da richiedere via posta in vari formati, con un messaggio semplicissimo: “Il cambio di regime inizia a casa propria. Vota.”

Già perché, come sempre, la gente sembra disinteressarsi non poco della prossima chiamata alle urne per rifare buona parte del Congresso, oltre alla nomina di nuovi governatori ed altre cariche in numerosi stati dell’unione. Ancora una volta, insomma, il rischio (la certezza?) è che la maggioranza silenziosa abbia il sopravvento, che il diffuso dissenso finisca per arenarsi nel tradizionale menefreghismo davanti ad ogni tornata elettorale. In altri termini: quando va bene, alle urne si reca non oltre il 30-40 per cento degli aventi diritto. Un trend in atto da tempo e che ha toccato il minimo storico (intorno al 25 per cento) proprio nelle contestate elezioni presidenziali del novembre 2000. Ma neppure quest’evidente fallimento del processo democratico impensierisce minimamente politici e giornalisti. (Forse è proprio vero che gli USA vadano considerati una repubblica, o meglio una oligarchia presidenziale, non una democrazia, come ricordava qualcuno all’indomani di quelli impicci post-elettorali in Florida). Se infatti l’assenza del coinvolgimento civico si respira nelle chiacchiere della gente, per le strade e nella vita di ogni giorno, perfino maggiore — e colpevole — appare la disattenzione che caratterizza gran parte delle testate giornalistiche. Non solo rispetto ai temi caldi attualmente sul tappeto, ma anche riguardo una serie di manovre procedurali pur sempre vitali nel misurare il benessere della democrazia.

Prendiamo ad esempio il diritto al voto di coloro che hanno definitivamente scontato una condanna. Un diritto tuttora negato a quasi 1,5 milioni di cittadini. Come mai? Tutto colpa del complesso sistema di tecnicalità legali e ostacoli burocratici da superare onde poter essere “riabilitati.” Scenario che colpisce, manco a dirlo, le minoranze, soprattutto quelle di colore. Come segnala un pezzo su AlterNet, può trattarsi di “gente che dopo aver scontato la propria colpa, lavora sodo e paga le tasse, ma per i quali le porte della democrazia restano permanentemente chiuse a meno che costoro non siano in grado di decifrare e navigare il labirinto di requisiti procedurali che impedisce loro la rimozione dello stigma dell’impotenza politica in una società che onora l’importanza del voto.” In pratica, l’attuale struttura legislativa non garantisce l’automatica restaurazione di tale diritto una volta chiuso il caso giudiziario, ovvero a sentenza scontata. Del tutto assurdamente, spetta ai singoli chiarire la propria situazione, dovendo così superare un elevato livello di imposizioni e ritardi burocratici — con l’ovvia conseguenza che molti neppure si curano di iniziare un simile percorso. Aggiungendosi così giocoforza ai molti milioni di statunitensi che, purtroppo, il 5 novembre saranno in tutt’altre faccende affaccendati — “dimenticandosi” per l’ennesima volta di recarsi alle urne.

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