Cultura

E’vero che l’eugenetica è la nuova frontiera del razzismo?

I cori razzisti negli stadi sono un fenomeno disgustoso. Ma non sono l’unica emergenza del razzismo nella nostra società. Ce n’è un’altra che rischia di passare come fantascienza...

di Antonietta Nembri

Si dice razzismo e si pensa immediatamente agli odiosi «buu» che dagli spalti degli stadi calano contro i giocatori di colore (ma sempre, invariabilmente, della squadra ?nemica?). Si dice razzismo e si pensa a forme lontane di intolleranza che il mondo civilizzato si è lasciato alle spalle. In fondo sono tutte visioni odiose ma tranquillizzanti: o archiviate o attribuibili al folklorismo degli imbecilli. Ma se invece le cose non stessero semplicemente così? Se il razzismo stesse invece facendosi largo nelle coscienze in forme più subdole e sofisticate? Uno scenario simile è stato evocato all?indomani dell?approvazione del protocollo tra la clinica universitaria di Groningen in Olanda e le autorità giudiziarie di quel paese, riguardante l?estensione della possibilità di eutanasia anche per i bambini sotto i 12 anni, fino all?età neonatale. Si accampa la ragione del risparmiare sofferenza inutile ai più piccoli. Ma si insinua la ragione utilitaristica e tutta economica di ?sbarazzarsi? di persone che non saranno mai produttive. Ma ci sono anche altre possibilità meno cruente: quella di avere figli su ?desiderata?; o di fare una selezione precoce (cioè a livello di feto) di quelli che non sono ?ben formati?. C?è lo scenario evocato da Jürgen Habermas di un ?supermercato? genetico dove i genitori fanno shopping di figli su misura. Insomma una selezione ?dolce? della razza… Per cercare di capire cosa cosa sta accadendo e cosa potrebbe aspettarci, abbiamo intervistato Adolfo Morganti, autore di Il razzismo. Storia di una malattia europea, un volume pensato per le scuole e che di fronte a comportamenti che sempre più spesso emergono nelle nostre società, cerca delle spiegazioni nella storia e nella genesi delle teorie e delle filosofie che ne sono l?origine. Vita: Professore a che punto siamo? Il razzismo sta reinventandosi? Adolfo Morganti: Se lei di riferisce al riemergere dell?eugenetica, devo confermarle che è certamente una forma di razzismo, ma non è un fatto nuovo. L?eugenetica nasce come scienza o, meglio, pseudo-scienza a metà dell?Ottocento grazie a un cugino e collaboratore di Darwin, sir Francis Galton. Darwin non è accostabile alle degenerazioni del pensiero razzista novecentesco, ma è un dato di fatto che la sua teoria costituì un?arma privilegiata del pensiero razzista contro ogni differente teoria. Vita: Lei dice che l?evoluzionismo è l?anticamera dell?eugenetica? Morganti: Non lo dico io, lo dicono i fatti storici. Basti pensare che nel 1904 fu fondato in Inghilterra il Laboratorio Francis Galton per l?eugenetica nazionale, nello stesso anno in Germania nacque l?Archivio per la biologia razziale e sociale che nell?omonima rivista, riferendosi a Darwin, affermava che la sopravvivenza della razza è connessa con l?ereditarietà razziale. Quando Galton morì, nel 1911, in molte nazioni europee erano stati creati periodici che si occupavano di eugenetica. La dottrina dell?ereditarietà applicata a una razza aveva raggiunto dignità scientifica ed era entrata nelle università. In pratica l?eugenetica aveva dato rispettabilità all?igiene razziale. Vita: Quando si parla questi temi, di selezione per ?migliorare? ed evitare inutili sofferenze, la mente corre a settant?anni fa, eppure sono temi di attualità: la polemica olandese sull?eutanasia dei bambini disabili o malati è recente… Morganti: È un fenomeno ciclico. Uno pensa che il razzismo sia scomparso nel 1945, ma non è vero. In numerosi paesi la prassi di selezione artificiale della razza è andata avanti imperterrita. In Svezia queste pratiche sono cessate ufficialmente negli anni 60 ed erano le stesse tecniche applicate agli handicappati e ai malati mentali dal Terzo Reich, gli Usa hanno continuato ad adottare questa tecnica di eugenetica in numerosissimi Stati fino agli anni 50 e 60 al punto che durante l?ultima campagna elettorale per il governatorato della California, il candidato perdente, quello democratico, per la prima volta ha scelto di chiedere scusa ufficialmente alle decine di migliaia di famiglie sterilizzate ancora negli anni 60. Vita: Veniamo all?oggi. Che idea si è fatto della decisione olandese di permettere l?eutanasia anche per i bambini sotto i 12 anni? Morganti: Mi sono fatto l?idea che l?individuo finché è funzionale alla società ha un ruolo e può avere dei margini di tutela, che però perde nella misura in cui, in una prospettiva economicistica, non è più utile. È il caso classico dell?eutanasia che viene pensata nei confronti delle persone che non possono lavorare, siano malati terminali o malati mentali. L?eutanasia nasce, nel pensiero del razzismo ottocentesco, per questi soggetti non produttivi. Quindi quella olandese di per sé non è una novità. Si può dire che è una scelta che persegue la linea suggerita già nel 1920 – quindi oltre un decennio prima dell?ascesa del nazismo – da Karl Binding e Alfred Hoch. Nel loro libro La rinuncia alla vita indegna affinché essa possa essere vissuta, come ricorda il grande storico George Mosse, «si sosteneva che mantenere in vita coloro che avevano cessato di essere utili a se stessi e alla società voleva dire sfruttare la volontà di lavorare degli altri e sprecare le ricchezze delle persone sane e produttive». Vita: Ma la posizione olandese viene vista come una posizione di progresso e di rispetto della dignità di chi soffre… Morganti: Negli anni 30 anche i primi passi dell?eugenetica nazista furono visti in Inghilterra come grandi orizzonti della tecnica per il miglioramento della specie umana. È un?ideologia del progresso in quanto si pensa che il progresso non si può mica fermare davanti a questi soggetti che costano al sistema e che non sono in grado di fare nessun reddito. Il principio vincente – che lo si espliciti o no – è sempre quello della convenienza. Spesso per pigrizia mentale si colloca l?idea di razzismo nella casella dei reazionari. In realtà le cose stanno diversamente. Vita: La nostra epoca rischia di essere quella del razzismo dell?efficienza? Morganti : Ciò cui assistiamo oggi è il tentativo di liberare il razzismo dalle scorie ottocentesche legate alle teorie del sangue. Quello di oggi infatti è un razzismo basato sulla capacità produttiva della persona. Già il razzismo statunitense di fine Ottocento e inizio Novecento aveva coniato il termine ?white trash?, ovvero spazzatura bianca: erano i bianchi poveri che venivano messi insieme ai neri, ai latini . ?Razze inferiori? da sterilizzare e rimuovere? Vita: Non vorrà sostenere che non c?è più un problema di ?razze?… Nancy: No. Ma dobbiamo ammettere che se ci imbattiamo in un arabo miliardario, nessuno dice niente. I soldi lo rendono accettabile e il conflitto razziale è messo da parte. Ma se arriva il suo cugino povero, allora nasce il problema. Quando arriva il turista giapponese ben foderato di euro, nessuno gli dice «sporco giallo tornatene a casa tua». Invece il povero, in quanto tale, è marchiato, di qualunque colore sia la sua pelle. Pensi a come vengono trattati i poveri bianchi ai nostri semafori. Come vede, il problema oggi è sempre quello economico. è una concezione dominante che si fonda sull?idea che l?uomo abbia diritto di esistere in quanto membro produttivo di una società. Vita: E come la mette con i cori da stadio e con le scritte vergognose che appaiono sulle curve? Morganti: Sono insulti razzisti e disgustosi, sicuramente. Ma non bisogna drammatizzare: il tifoso che insulta il nero della squadra avversaria idolatra il nero della propria. L?insulto razzista è uno strumento che viene applicato a seconda dello schieramento. Possiamo dire che ci troviamo davanti a un livello di razzismo di facciata, che svanisce a seconda dei colori della maglia. Piuttosto persiste un?altra forma di razzismo che si esplicita nella formula: «Io non voglio che mio figlia sposi un nero anche se è figlio del re». Questo è un comportamento razzista, certamente presente. Ma nel momento in cui noi avessimo a che fare con legioni di maghrebini o di neri immigrati ricchi, anche questo atteggiamento residuale sparirebbe nel giro di pochissimi anni. Dobbiamo persuaderci che nella nostra società il vero fattore discriminante è quello della povertà economica e della emarginazione sociale. Vita: In altre culture permangono forme di razzismo diverse? Morganti: Quella di cui abbiamo parlato sinora è la visione occidentale della società. Nel mondo islamico, per esempio, questa prevalenza dell?economico non esiste. La società è basata su una serie di valori giuridico-culturali quasi opposti. Per cui è facile vedere persone che occupano il potere e hanno una grande carica carismatica ma non abbiano nessuna ricchezza personale. Non è il controllo dell?economia che dà loro il potere. Vita: Nella sua analisi emerge che il razzismo di oggi ha la sua culla nei paesi del Nord Europa? L?Italia può sentirsene in parte immune? Morganti: In realtà il nostro mondo non è al riparo da nulla, bensì permeabile a qualsiasi moda arrivi dal mondo anglosassone: è dagli anni 60 che tutte le mode culturali fanno questo percorso. È vero però che in Italia ci sono dei limiti fisiologici e sociologici. Qui, l?idea che un uomo valga solo per ciò che produce cozza contro una cultura che, per esempio, vede nell?istituzione familiare un cardine della società. Famiglia intesa non come un contratto, ma come una realtà umana, portatrice di diritti forti. Abbiamo dei grossi anticorpi di tipo comunitario diversamente sviluppati: la campagna abruzzese ne ha di più di Milano. Questo tipo di limiti fa sì che sia difficile pensare a un pensiero politico meridionalista che partorisca la legge Bossi – Fini. Per ovvi motivi di esperienza storica recente. Chi è Adolfo Morganti Bolognese, classe 1959, sposato, due figli, Adolfo Morganti è psicoterapeuta di professione. Si è laureato in Psicologia all?università di Padova il 23 novembre 1982 con una tesi su «La psicologia buddista tibetana: spunti per un?analisi». è docente di Psicologia dinamica all?università Guglielmo Marconi di Roma. Dal novembre 2005 è membro del comitato scientifico della Fondazione internazionale Giovanni Paolo II e dal dicembre 2002 dell?Osservatorio per il monitoraggio comparativo dell?attuazione delle direttive comunitarie in Italia, istituito dal ministero per le Politiche comunitarie.


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