Cultura

Prodi e D’Alema, ci vuole più coraggio

Il premier e il ministro degli Esteri si sono recati di recente in Giappone, paese che pratica l’impiccagione. Ma non hanno speso una parola sui diritti umani ... di Daniele Scaglione

di Redazione

«Stamattina pensavo fosse arrivata la mia ora», ha scritto Kaoru Okashita lo scorso 25 dicembre. «Ho sentito i passi delle guardie alla mia porta. Poi, per fortuna, si sono allontanati». Okashita ha 60 anni e vive nel braccio della morte del carcere di Tokyo, dove è rinchiuso per duplice omicidio. In Giappone la pena di morte, per impiccagione, arriva a sorpresa. Sino a un paio d?ore prima il condannato non conosce la data dell?esecuzione. In questa condizione vi sono più di cento persone, tra cui degli ottantennni. Kaoru Okashita si è salvato, al suo posto sono stati impiccati altri quattro condannati. Altri tre sono stati portati alla forca il 27 aprile.

A metà aprile Romano Prodi è stato ricevuto dalle più alte cariche dello stato del Sol Levante, imperatore incluso. Alla fine di gennaio in Giappone si era invece recato Massimo D?Alema. Dai resoconti ufficiali e dalle notizie di stampa risulta che né il primo ministro né il capo della diplomazia italiani abbiano accennato alla pena di morte. Anzi, tanto Prodi quanto D?Alema hanno sottolineato la sintonia esistente tra i due paesi sui principali temi di politica tra cui, evidentemente, non rientra quello della condanna capitale.

L?Italia si è impegnata a presentare all?Onu una moratoria universale sulla pena di morte, che però non avrebbe conseguenze immediate. L?Assemblea Generale non ha potere vincolante nei confronti dei membri dell?Onu, dunque quei pochi paesi che danno da lavorare al boia (Cina, Usa, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Giappone) potrebbero continuare a uccidere legalmente. Per cancellare l?omicidio di stato bisogna pretendere azioni concrete e occorre una pressione costante, che però l?Italia non è disposta a esercitare. Quando il nostro governo incontra paesi con cui intende rinforzare relazioni economiche e commerciali, i temi della libertà e della pena di morte finiscono fuori dall?agenda. Con quale credibilità, dunque, l?Italia sostiene la battaglia per la moratoria? Non a caso, alcuni bertinottiani di origine movimentista (Alfonso Gianni, Ramon Mantovani, Lidia Menapace) nell?ultima Direzione del partito hanno usato accenti critici verso la gestione interna di Giordano.

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