Cultura

Bertinotti cerca tracce di futuro

Prometteva molto il titolo del libro a cui Fausto Bertinotti ha affidato le sue riflessioni su politica e società, ha un sapore olivettiano

di Giuseppe Frangi

Fausto Bertinotti
LA CITTÀ DEGLI UOMINI
Mondadori, pp. 128, euro 16,50

Prometteva molto il titolo del libro a cui Fausto Bertinotti ha affidato le sue riflessioni su politica e società. <i>La città degli uomini </i>ha un sapore olivettiano; trasmette l?idea che antichi steccati siano definitivamente caduti, annuncia l?ammissione che gli schemi interpretativi non tengono più. Il titolo quindi evoca un?aspettativa che però solo a tratti si ritrova nel corso delle pagine, dove scorie di vecchie logiche (si veda a pagina 71 l?osservazione sui consumi troppo bassi «delle masse popolari ») si mescolano con spunti che, se sviluppati, potrebbero davvero aprire percorsi nuovi. La colpa va forse cercata nella formula del libro, che in realtà è la raccolta di cinque interviste fatte da Sergio Valzania e pubblicate come testi veri e propri: forse la formula dell?intervista tout court avrebbe permesso una maggiore libertà di addentrarsi in territori nuovi che il ragionamento di Bertinotti pure evoca.

La tesi del presidente della Camera è semplice: la politica oggi vive una forma di paralisi. Ma della politica la città degli uomini non può fare a meno. La politica per Bertinotti è sapienza di mediazione.

Ma oggi questa sapienza si è vanificata davanti alla ?regressione civile? che segna la società del nostro tempo. L?emblema della regressione Bertinotti la coglie in un sintomo emblematico: «Oggi è comunemente avvertito che i nostri figli stanno peggio di noi». Cioè non hanno attesa per il futuro, non vedono una progettualità condivisa che accenda aspettative nella loro vita.

Il sintomo è colto con molto realismo, anche se a volte sembra che Bertinotti, quasi per un?inerzia di pensiero, riduca questo ?vuoto? di futuro a una arretramento dello Stato sociale. In realtà lui sa bene che non è così e anche le pagine dedicate al dilagare della precarietà lasciano affiorare l?idea che non si tratti solo di una precarietà economica ma soprattutto di una precarietà di orizzonti ideali.

Bisogna riconoscere a Bertinotti il coraggio di aver aggredito la crisi della politica senza troppe protezioni. E, di conseguenza, di aver aperto le porte a questioni che se anche solo sfiorate, ormai sono entrate nel novero delle questioni ineludibili. Tra le questioni c?è indubbiamente il ?mutismo della politica?. Per Bertinotti è originato dal suo assoggettamento alle «presunte leggi dell?economia». Ma forse questa è una semplificazione. In realtà la politica s?è ricavata uno suo spazio come apparato burocratico e da quella postazione tiene in ostaggio la società né più né meno della perfida economia.


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