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Volontariato/ L’aspro augurio di erri. I volontari? meglio se involontari

«Distribuire l’indispensabile, facendolo di persona. E senza stipendi». La ricetta di uno scrittore che ha vissuto l’impegno in prima persona...

di Sara De Carli

Gratuito e non censibile. Le due caratteristiche irrinunciabili del volontariato per Erri De Luca sono queste. Lui che con i suoi viaggi in Bosnia, negli anni della guerra, ha anticipato il ?volontariato involontario? delle più recenti analisi. Ma che rifiuta l?etichetta del volontario ?duro e puro?. Tanto che l?idea del volontariato in cambio della cittadinanza non lo scandalizza per nulla.

Vita: Dicono che lei è un volontario ?duro e puro??
Erri De Luca: Non mi risulta. Come volontario sono abbastanza involontario, nel senso che la mia esperienza di volontariato è stata sollecitata da fattori esterni. Ho fatto 30 o 40 viaggi in Bosnia, durante la guerra, con l?associazione Arpa-Associazione Regina Pacis, di Pescate, vicino Como. Io ho smesso nel 1999, loro continuano ancora. Guidavamo camion carichi di materiali raccolti in Italia, venti ore di viaggio, e distribuivamo in loco gli aiuti. L?ho fatto perché era tornata la guerra in Europa e poi perché questi volontari cattolici – loro sì molto volontari – mi hanno invitato dopo aver letto un mio articolo su Avvenire. Più convocato che per scelta, ma come sa ci sono degli inviti più forti degli ordini. Prima avevo fatto anche un periodo di volontariato in Africa, intorno al 1983, montavamo pale a vento in Tanzania. Ma non come adesso che si chiamano volontari ma gli danno uno stipendio. La gratuità conta, all?inizio e come intenzione. Non si dovrebbe mai andare oltre il rimborso delle minime spese. Se no diventa un lavoro salariato, non volontariato.

Vita: Ci descrive i volontari con cui ha condiviso le sue esperienze? Quali caratteristiche ha ammirato e quali ingenuità ha riscontrato?
De Luca: Tra quelli con cui sono andato in Bosnia, nessuna ingenuità. Sono cattolici ma consegnavano gli aiuti ai musulmani e anche ai serbi quando si è potuto, non facevano perdite, distribuivano e continuano a distribuire di persona senza affidarsi a centrali di smistamento. Distribuire l?indispensabile. L?ho imparato leggendo l?Esodo, la distribuzione della manna. Il cruccio principale di quel fornitore, che distribuiva di tasca sua, era di distribuire in parti uguali. Il secondo cruccio era che il necessario fosse cibo e non merce, utile al sostentamento ma impossibile da essere stoccato o barattato, perché deperiva in giornata: non aveva nessun valore di scambio, solo d?uso. Questa era un grande idea. Dentro quel libro ci sono belle istruzioni sul cibo come necessità senza valore di scambio, quindi sulla gratuità.

Vita: Nell?Esodo ha trovato altre ?belle istruzioni? per il volontariato di oggi?
De Luca: No, no, questa e basta.

Vita: Parliamo della motivazione: ho letto che rispetto ai suoi viaggi in Bosnia, alla sana domanda «chi me lo fa fare?», lei ha risposto «sono partito stanco morto e sono tornato con la voglia di fare e rifare più volte questo viaggio». Qual è il modo per rimotivare oggi al volontariato?
De Luca: E che ne so. Non ne ho nessuna idea. So cosa è capitato a me. Per me è stato che con il ritorno della guerra in Europa io non me la sentivo di stare a casa mia. Ogni momento storico e ogni persona ha la sua motivazione.

Vita: Ha usato quell?espressione, volontario involontario?
De Luca: Le circostanze mi ci hanno costretto, c?era la guerra e c?era questo invito. Da solo non me la sarei cercata questa attività.

Vita: È la stessa che usa Ilvo Diamanti per descrivere il volontariato del XXI secolo e per dare indicazioni alle associazioni, visto che la gente non vuole avere legami di appartenenza, neanche con le associazioni di volontariato. È un bene o un male?
De Luca: Una bella caratteristica. Il volontariato di Bosnia aveva quasi tutto questo scrupolo preciso, di non farsi ammucchiare dentro nessuna associazione o organizzazione, sotto nessun cappello. Eravamo quasi tutti non censiti e non censibili. Sono d?accordo con Diamanti.

Vita: E quale valore difende questa scelta?
De Luca: Nessun valore, perché così si è più efficaci. La struttura è di per sé parassitaria. Il peggio del volontariato organizzato e gestito dall?alto che si è visto in questi anni è quel mostro arcobaleno che ha messo in piedi il governo italiano in occasione della guerra in Kosovo.

Vita: Ha sentito che il britannico Gordon Brown ha una mezza idea di dare la cittadinanza agli immigrati che fanno volontariato?
De Luca: Lo faccia sapere ai nostri governanti italiani. È una buona idea, soprattutto per vedere come saltano sulla sedia: appena sentono parlare di cittadinanza agli immigrati, i nostri politici si torcono le budella. Credo che di immigrati che fanno volontariato ce ne siano già tanti, in cambio della cittadinanza lo farebbero tutti.

Vita: E non sarebbe contro quella logica di gratuità fondamentale per il volontariato che lei diceva all?inizio?
De Luca: Gli Stati Uniti lo fanno con i soldati, danno la cittadinanza a chi accetta di rischiare di farsi ammazzare in Iraq. Se non altro qui scambio la cittadinanza con qualcosa di positivo.

Vita: Lei ha scritto che ogni generazione ha la sua città da cucirsi sul bavero per amore. Qual è la causa-simbolo del volontariato odierno?
De Luca: Non lo so, perché oggi non faccio nessun volontariato.

Vita: Ma a prescindere dalla sua adesione personale?
De Luca: Quella che si occupa della grande contraddizione odierna, quella fra noi e gli immigrati.

Vita: La Conferenza si terrà a Napoli: tra i napoletani c?è qualche figura significativa da recuperare o da scoprire?
De Luca: Alex Zanotelli, che si è messo ad abitare a Napoli, quartiere Sanità. Non so se l?hanno invitato, ma senza di lui è una Conferenza reticente.

Vita: Cosa le piace di Zanotelli?
De Luca: Tutto, a cominciare dai sandali e la barba.

Vita: Che augurio fa alla Conferenza di Napoli?
De Luca: No, non faccio nessun augurio.


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