Politica

Volontariato/ Alla vigilia della conferenza di Napoli parla Ferrero

Il ministro Paolo Ferrero ha dato un primo cenno di risposta alle questioni sollevate dal giornale sul tema del volontariato...

di Redazione

Ministro, grazie per aver accettato di rispondere alle questioni poste dai leader del volontariato. Partiamo dalla prima domanda. Qual è l?obiettivo della Conferenza di Napoli?
Paolo Ferrero: In Italia manca una sufficiente valorizzazione del volontariato. Non c?è una comprensione del ruolo sociale enorme che svolge nel nostro tempo. Il volontariato è percepito come un di più. Qualcosa di non strettamente necessario. Io, invece, penso che per il livello di crisi sociale che stiamo vivendo, a cui si accompagna una significativa perdita di coesione fra i cittadini, il volontariato è una necessità. Penso che questo ruolo sociale gli vada riconosciuto, dai politici, e non solo dai politici. Gli altri corpi sociali intermedi infatti non sono in grado di svolgere un compito, reso ancora più complesso da questo modello di sviluppo economico e dalla precarietà del lavoro. Il volontariato di comunità mi sembra la carta da giocare per una ricostruzione dei legami che parte dal basso. Il primo e naturale scopo della Conferenza è quindi di dare conto anche simbolicamente del ruolo centrale che il volontariato svolge. È un obiettivo forte. Non è poca cosa fare in modo che la società italiana riesca a riconoscere se stessa. In questi anni invece lo Stato ha scaricato sul volontariato, e complessivamente sul terzo settore, il costo della penuria di risorse.

Non crede però che oggi il volontariato stia vivendo una fase di riflusso?
Ferrero: è difficile avventurarsi in sentenze definitive. Crisi però non è il termine giusto. Quello che vedo è una modifica di questo mondo almeno su due aspetti. Primo punto. Il micro volontariato sta crescendo. Un boom che non bisogna leggere come elemento negativo ma come frutto di una vitalità rinnovata. Questo è un tesoro che racchiude in sé potenzialità immense. D?altra parte percepisco anche che si è esaurita la carica emotiva del volontariato che ha vissuto nei due decenni scorsi a cavallo della profonda crisi, questa sì, della politica. L?onda probabilmente non è più così alta e prorompente come negli anni 80 e 90, tanto è vero che oggi ci sono più volontari fra i quarantenni che non tra i ventenni. Ma quello era un surplus. Il volontariato rimane un fenomeno presente e trasversale a tutte le età.

Il micro volontariato cresce, ma quello organizzato soffre?
Ferrero: Il punto non è tanto questo, quanto comprendere le dinamiche sociali e capire come si possano esprimere le nuove istanze portate dai giovani, che tendono ad esprimersi sempre di più informalmente. È un fenomeno che va affrontato e compreso. Senza dare giudizi. Solo così si può trovare la risposta alla questione che pone. Voglio essere ancora più chiaro: non vedo nessuna crisi, nemmeno del cosiddetto volontariato organizzato, che non dimostra un dinamismo paragonabile alle iniziative spontanee, ma non per questo è in ritirata.

Sarebbe favorevole a legare l?accesso alla cittadinanza degli immigrati allo svolgimento di un?attività di volontariato, come propone Erri De Luca?
Ferrero: è una buona idea. Bisognerebbe però modificare gli accordi di Schengen. L?Europa, così come si è costruita, ritiene un?ipotesi del genere una bestemmia.

Il dibattito sulla riforma legislativa del volontariato e del terzo settore in generale è molto acceso. Stefano Zamagni, recentemente nominato alla guida dell?Agenzia delle onlus sostiene l?opportunità di un Testo unico che metta ordine nel caos legislativo, e si dice contrario a una legge quadro che rischia di ingabbiare il sistema. Qual è la sua posizione?
Ferrero: La revisione della normativa è una necessità. Senza alcun dubbio. Ma per farlo in modo credibile e responsabile è bene aprire un dibattito pubblico chiaro in modo che le modifiche legislative siano introdotte con la massima trasparenza rispetto a che cosa si sta facendo e in che direzione si sta andando. Pongo quindi innanzitutto una questione di metodo.

Venendo al merito invece, qual è la strada da intraprendere?
Ferrero: La mia ipotesi è che non serva un testo che appiattisca ogni cosa. Ci vuole invece un testo che mantenga le specificità e la visibilità di ognuno degli ambiti del terzo settore. Il tutto però deve essere integrato in una modalità coordinata. Uno dei problemi che abbiamo oggi è infatti che i diversi trattamenti fiscali determinano situazioni per cui si passa da una veste all?altra esclusivamente per convenienze di portafoglio. In questo senso penso che bisogna avere un Testo unico. Ma lo si chiami come si vuole. L?importante, lo ribadisco, è consentire l?emersione delle specificità in un quadro d?insieme. Mi pare quindi che, a parte le dispute terminologiche, io e Zamagni ci troviamo in linea: l?obiettivo è esattamente il medesimo.

Ritiene che il volontariato possa ammettere una forma di retribuzione oppure debba restare quello puro e gratuito dei pionieri?
Ferrero: Troppo spesso fra volontariato e lavoro si è creata un’area grigia in cui si è trasformato in un lavoro mal retribuito. E invece lavoro e volontariato vanno tenuti ben distinti. Il lavoro deve avere tutte le garanzie in qualsiasi posto sia svolto. E il volontariato deve essere un’attività non retribuita. Questo è un punto decisivo, per evitare che le giovani generazioni vedano il volontariato in modo distorto.

Carlo Borzaga, uno dei massimi esperti del settore, sostiene però che l’evoluzione naturale del volontariato tradizionale sia proprio l’impresa sociale. Lei non è d’accordo. Perché?
Ferrero: Io penso che nell’impresa sociale ci possa stare il lavoro e ci possa stare il volontariato. Ma sono due cose distinte. Le faccio un esempio. Quando ero in cassa integrazione ho messo in piedi una cooperativa, che assumeva disoccupati. Queste persone erano pagate normalmente. Io come presidente della cooperativa facevo il volontario e perciò non venivo retribuito. Tener distinti questi due piani è un punto cruciale.


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