Non profit
Quando Mastrogiacomo ha usato quel noi
La vicenda del giornalista italiano rappresenta ancora una volta un mondo diviso in due. Francamente abbiamo perso ancora unoccasione per affermare una mentalità nuova...
Tutti ci siamo immedesimati. Preoccupati. Appassionati. Moltissimi hanno firmato un appello. Anche io. Mastrogiacomo libero. Giusto. È andata così, finalmente, dopo due settimane terribili. Ma anche noi, che da sempre pensiamo che ogni vita umana vale quanto un?altra, ci siamo soffermati soprattutto sulla sorte del collega giornalista, come se l?autista e l?interprete fossero due entità astratte. La tragica sorte dell?autista, sgozzato e poi decapitato davanti all?inviato di Repubblica, mi ha francamente turbato. E quando l?ospedale di Emergency è stato circondato da parenti e amici di Sajed Agha (sfido chiunque a dire che ne conosceva il nome) ho compreso quanto diversa sia la prospettiva dalla quale un medesimo avvenimento può essere vissuto. Da questa amara vicenda usciamo tutti malconci. Prima di tutto Mastrogiacomo, provato nel fisico e nello spirito, costretto in quindici giorni a vivere un film del terrore, violentato nella coscienza di uomo libero, costretto a confrontarsi brutalmente con la violenza del pensiero dei talebani, in una situazione di debolezza incredibile. La sua vita è sicuramente cambiata, e la scala dei valori ne uscirà modificata. Ma noi? Abbiamo perso un?occasione per diffondere una mentalità nuova, ed è stato proprio Mastrogiacomo, con quel suo drammatico appello «Liberateci» a spostare l?accento sul ?noi?. Una vicenda triste, che ci conferma quanto siamo immersi in una palude, quasi un Vietnam delle coscienze, impantanati fra vittime e carnefici, fra terroristi e combattenti, dove nessuno può svolgere serenamente la propria parte senza che questo comporti conseguenze, spesso gravi. Non possiamo chiamarci fuori, neppure per un minuto.
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